68 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito
Violenza ostetrica: tutte le testimonianze

Violenza ostetrica, la ginecologa: “La donna ha diritto di informazione e scelta anche durante parto”

Abbiamo intervistato Donatella Albini, medica ginecologa e membro del comitato scientifico di Amina, organizzazione che si occupa di promuovere un parto sicuro e felice, sul tema della violenza ostetrica. “La chiave è la condivisione: le donne hanno il diritto di essere informate e di scegliere”.
A cura di Natascia Grbic
68 CONDIVISIONI
Immagine
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su

Consigliera comunale a Brescia con delega alla Sanità, docente universitaria, dirigente medica presso l'Unità operativa di ostetricia e ginecologia dell'ospedale Mellini, Donatella Albini è una ginecologa attiva nei movimenti per i diritti delle donne, soprattutto sul fronte dei diritti riproduttivi e sul tema della violenza di genere. Nel 2019 è partita volontaria sulla Mediterranea Saving Humans, dove ha assistito cinque donne in gravidanza, e oggi fa parte del comitato scientifico di Amina, organizzazione che si occupa di garantire alle donne un parto felice e sicuro. In seguito alle numerose testimonianze emerse dopo la vicenda del neonato morto all'ospedale Sandro Pertini di Roma, l'abbiamo intervistata per meglio inquadrare la violenza ostetrica e il perché della sua diffusione in Italia.

Cosa si intende per violenza ostetrica e come mai in Italia è così diffusa?

Bisogna specificare innanzitutto che la violenza ostetrica non è diretta solo verso chi sta diventando madre, ma anche verso chi vuole accedere all'interruzione volontaria di gravidanza, è un concetto molto ampio. Per violenza ostetrica si intende qualsiasi gesto, atto, atteggiamento, parola verso la donna che non tiene conto del fatto che chi abbiamo di fronte non è solo una persona che aspetta un bambino, ma una donna con pensiero e possibilità di scelta. In Italia abbiamo diversi problemi: nessuno di noi è formato alla relazione con il paziente, e mi riferisco a tutti, non solo a chi lavora in ostetricia e ginecologia. In anni di corso di medicina nessuno ci dice come deve essere la pratica della relazione. In questa mancanza di formazione alla relazione non c'è un riconoscimento del fatto che la donna che si ha di fronte ha diritto a essere informata, a scegliere, alla sua autodeterminazione. Questa è la chiave attraverso cui si sviluppa la violenza ostetrica. Tutte hanno il grado di sapienza necessaria per ricevere informazioni, hanno il diritto di sapere cosa viene fatto loro e il diritto di dire no. Non basta far sottoscrivere un consenso informato, bisogna prendersi del tempo e informare. Tutte queste cose nei nostri ospedali non esistono, o esistono solo in parte. Ma non c'è solo il punto di vista dell'istituzione.

Quali sono le pratiche che dovrebbero essere evitate?

I clisteri che venivano usati molti anni fa, la depilazione del pube, il costringere la donna a partorire solo in camicia da notte, spogliandola della sua soggettività. Nessuno ci insegna però la pratica di relazione e un'assistenza altra al parto che non sia quella classica ad esempio, nella posizione litotomica. Ora ci sono le vasche per partorire in acqua, c'è la possibilità di partorire su dei palloni, attaccate a delle liane, e tante altre modalità, ma non tutte le strutture sono attrezzate. È chiaro che se non dai queste possibilità, dai per scontato che la procedura giusta è la posizione litotomica, che è quanto di più innaturale esista dato che non puoi sfruttare la forza di gravità. C'è poi l'episiotomia, che si è dimostrata non essere essenziale. Anche perché se è molto anticipata rispetto alla fase finale, quella espulsiva, rischi di fare una lacerazione più ampia di quella che potrebbe essere necessaria per accompagnare la testa del neonato che esce. Non sempre serve, e te ne accorgi quando assisti al parto. Nel momento in cui capisci che sta iniziando una lacerazione spontanea, e la vedi, la puoi aiutare facendo un piccolo taglio che accompagna la testa del neonato. Lì sta nella capacità dell'ostetrica, o del medico o della medica che assiste, di capire se questo bambino scivola fuori senza problemi, se le piccole lacerazioni che può produrre sono ininfluenti, o possono produrre lacerazioni di terzo grado. Non sono cose improvvise.

E invece per quanto riguarda la Kristeller?

La Kristeller è assolutamente violenta. Si va sulla pancia della donna e si spinge di modo che la testa del neonato che non riesce a uscire possa farlo. È dolorosissima, può servire in casi finali quando la testa è proprio in fondo, ma io l'ho usata pochissimo quindi non posso dire di essere d'accordo. Sicuramente va fatta con grande attenzione per evitare fratture costali e problemi di respirazione successivi. Se il battito cala bisogna fare un intervento d'urgenza e siamo fuori la procedura del parto naturale, ma se questo tiene, si può aspettare. Lo stesso vale per l'uso del forcipe, che ho visto usare i primi anni di clinica e poi non più. Siamo cresciuti negli anni della ventosa: si può metterne una nella fase finale quando la testa è quasi fuori, ma bisogna stare molto attenti e solo se c'è un problema del battito o un'emergenza. Se non viene posizionata bene si fanno lacerazioni alle pareti vaginali pazzesche, difficili non da suturare ma da recuperare dal punto di vista di funzionalità dell'organo.

Nel caso si rendano invece necessari?

Bisogna parlarne con la donna, non è vero che nella fase finale del travaglio non capisce. Bisogna trovare il tempo, le modalità e le parole giuste per spiegare i gesti che si fanno. Prima di fare l'episiotomia rassicuravo sempre sul fatto che avrei dato un piccolo aiuto. Le donne capiscono benissimo, se ci sono gesti da fare in situazioni di estrema emergenza vanno sempre specificati. Questo è il tema cruciale della violenza ostetrica: tutto deve essere condiviso. Una donna è un essere pensante in ogni momento della sua vita, soprattutto in quello del parto.

Come mai queste pratiche, nonostante siano sconsigliate, sono così tanto usate?

Dobbiamo liberarci da due fattori: il primo è quello della fretta. A meno che non cali il battito, e allora si deve intervenire d'urgenza, bisogna rispettare i tempi del parto. Se la testa si vede ma con le spinte il neonato non scivola fuori, diamo una mano noi, dicendo di cambiare posizione magari, a meno che chiaramente non ci sia un'urgenza. Il secondo fattore è quella cosa terribile che si chiama medicina difensiva. Quindi si agisce facendo ciò che magari non si doveva fare, per essere tranquilli dal punto di vista clinico e assicurativo. Ma le regole dell’istituzione non sono regole scolpite nella pietra: sono volutamente scritte così perché le donne non devono avere parola, così come le operatrici, non solo le partorienti. Il covid poi, ha portato una generazione di donne a partorire in solitudine, e lasciate da sole a governare un mondo nuovo, con livelli di informazione nei loro confronti sempre più bassi. Se invece una donna viene ascoltata, è molto facile assistere a un parto, con tutti i livelli di sicurezza necessari ovviamente.

Cosa si potrebbe fare per cambiare le cose?

Sicuramente dare libero accesso al nido. Se una donna rifiuta il rooming in oggi arriva la psicologa perché si pensa che rifiuti il figlio, mentre magari ha bisogno di riposare. Non è anche questo un gesto di violenza? C'è necessità di una legge sulla violenza ostetrica, bisogna informare, entrare in relazione con le donne: e questo va fatto insieme alle operatrici e agli operatori della sanità, perché è necessario avere lo sguardo di chi vi lavora. Bisogna ragionare sulla struttura delle sale parto e della degenza, rendere il parto a domicilio e nelle case maternità una scelta non limitata solo a chi ne ha la possibilità economica. Deve essere accessibile a tutti e pagata dal servizio sanitario nazionale. Non mi stancherò mai di dire che le donne bisogna ascoltarle e informarle. Tu il sapere medico ce l'hai, l'hai acquisito. E devi metterlo a disposizione.

I tagli alla sanità e le condizioni lavorative del personale hanno a che fare con questi comportamenti?

Un po' sì, perché il personale sanitario è sempre meno, e il carico di lavoro è maggiore. Se ci sono trenta letti occupati da donne che hanno partorito, quando è necessario e ogni volta che lo richiedano, bisogna andare a controllare come stanno. È difficile se si è sotto organico o se i turni sono pesanti. Bisogna tenere inoltre conto del fatto che abbiamo avuto il covid, che per tutti gli operatori, anche quelli delle sale parto, è stato uno stress incredibile. C'è stata la pandemic fatigue: nei primi mesi hanno lavorato fino allo sfinimento, arrivando poi a risentirne sul piano fisico e mentale. Più tagliamo la sanità più finiamo nel baratro.

68 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views