Un alpinista americano morto sull’Everest: è l’undicesima vittima
Non si arresta la serie di vittime sulla vetta più alta del mondo, il monte Everest. E' di ieri infatti la notizia che Christopher John Kulish, uno scalatore statunitense di 61 anni, ha perso la vita mentre affrontava la discesa dalla vetta del monte sul versante nepalese. Si tratta dell'undicesimo morto dall'inizio della stagione alpinistica del 2019 su una montagna che, pur essendo la più alta del pianeta, sta attirando migliaia di appassionati alla stregua di una comunissima meta turistica.
Dall’inizio della stagione di arrampicata hanno perso la vita almeno undici persone sul versante nepalese dell’Everest: negli ultimi giorni due alpinisti sono deceduti per la stanchezza e il freddo anche a causa delle lunghe code che si erano formate per arrivare in cima e avevano costretto centinaia di alpinisti a trascorrere ore fermi in attesa al gelo prima di poter proseguire con la salita o la discesa. Non sono ancora chiare le cause della morte di Kulish, ma le autorità nepalesi hanno reso noto che si sia accasciato all'improvviso una volta raggiunto il Colle Sud dopo essere sceso dalla vetta.
L'uomo era riuscito a realizzare uno degli obiettivi della sua vita scalando la vetta a 8.848 metri ed è deceduto in uno dei campi avanzati, a circa 7.900 metri. In un comunicato, i suoi familiari hanno dichiarato che le condizioni meteo "erano pressoché ideali, dopo che la folla della scorsa settimana sull'Everest si era ritirata". Nelle ultime settimane in tutto il mondo sono state diffuse fotografie di decine e decine di scalatori costretti ad attendere in fila ad oltre 8.000 metri di quota il loro turno per passare attraverso una strettoia che conduce alla vetta. Contestualmente si sono diffuse a livello mondiale le polemiche sullo sfruttamento della montagna da parte delle autorità del Nepal.