Trasfusione di sangue infetto: donna aspetta 44 anni per essere risarcita dallo Stato

Alla nascita avevano scoperto subito che era emofiliaca. L'avevano così trasferita da Reggio Emilia al Maggiore dove era stata sottoposta ad immediate trasfusioni. Si trattava però di sangue infetto: virus dell’epatite C. Non è una storia recente. La protagonista ha infatti ben 44 anni ed ora ha ottenuto il riconoscimento che attendeva dal 1973: ha infatti vinto in appello la causa contro il ministero della Salute e riceverà 112mila euro.
La signora, sposata e con un'occupazione stabile, contrasse infatti il virus Hcv a causa di quella trasfusione. Ora è in condizioni di salute abbastanza buone ma negli anni è stata costretta a sottoporsi a cicli di terapia con interferone e “c’è sempre il rischio – ha detto il perito – di ripresa della replica virale”. I giudici d’appello – presidente Maria Cristina Salvadori, estensore della sentenza Luciano Varotti già giudice fallimentare a Reggio – hanno ribaltato la sentenza emessa a suo tempo dal tribunale di Bologna.
Come evidenzia Il Resto Del Carlino, per i giudici è stato decisivo che il fatto che il ministero già dal 1967 avesse obblighi dettagliati dallo Stato sul controllo del sangue, e quindi va ritenuto responsabile perché “ha accresciuto il rischio di contagio” non adoperandosi per la verifica dei donatori tramite il controllo delle transaminasi, il cui alto valore avrebbe messo in guardia sulla presenza di un danno epatico. Oggi è possibile individuare il virus C dell’epatite con una probabilità vicina al cento per cento.