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backstair / Shalom, la comunità degli orrori



“Suor Rosalina mi ha picchiato tante volte”: le testimonianze di chi è scappato da Shalom

Dopo l’inchiesta, decine di ex ospiti hanno voluto raccontare la loro verità: in sei ci hanno messo la faccia, ecco cosa ci hanno raccontato.
A cura di Backstair
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Sono state decine e decine le segnalazioni arrivate a Fanpage.it nei giorni successivi alla pubblicazione dell’inchiesta di Backstair che accende i riflettori su quello che accade dentro Shalom, la comunità di recupero fondata da Suor Rosalina Ravasio. In tanti hanno deciso di prendere coraggio e raccontare la loro verità e alcuni di loro hanno scelto di farlo rivendicando la loro storia e volendo esporsi in prima persona.

Johan, la fuga e la squadretta

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Johan Ferruccio è arrivato a Shalom da Lanciano, in provincia di Chieti. Era il 16 maggio 2021 e aveva 16 anni. I genitori non riuscivano a gestire i problemi legati alla sua adolescenza e avevano scelto per questo di affidarlo alla comunità di Suor Rosalina. Johan parla di soprusi e violenze perpetrate dentro la Shalom dai cosiddetti vecchi: “Lì i vecchi venivano visti come degli dèi, intoccabili. I vecchi ti bastonano”. Le violenze, spiega Johan, arrivano quando si disobbedisce: “Tu sei dentro il mondo Shalom, dove devi fare quello che ti viene detto. Se non lo fai, paghi”. E spesso a finire nelle grinfie di questi vecchi erano soggetti molto fragili. Quando parla di un ospite con problemi psichiatrici afferma che “prendeva gli schiaffoni, le mazzate”. Di punizioni Johan ne ha viste infliggere molte. Ricorda i ragazzi costretti a spaccare la legna “dalle otto di mattina sotto il sole rovente e sotto la neve” e ricorda di aver visto “un ragazzo problematico fare la notte fuori, a lavorare. Era inverno e faceva freddo”.

A deciderlo, ci spiega, era stata Suor Rosalina. Una volta compiuta la maggiore età, Johan ha deciso di scappare: “Quando ho capito che i miei genitori non mi avrebbero riportato a casa, ho realizzato che l’unico modo per lasciare quel posto era scappare”: Johan è scappato ed è riuscito a tornare nella sua città, Lanciano, dove ad accoglierlo c’era lo zio. “Mio zio mi fa: da domani ricominci una nuova vita, torni a essere un ragazzo libero”. Non sapeva ancora che di lì a qualche giorno avrebbe avuto una visita inattesa: “Mi metto a dormire e inizio a sentire dei rumori. Guardo dallo spioncino, apro e mi ritrovo di fronte i ragazzi della comunità. Loro si mettono in semicerchio davanti a me, in cinque o sei iniziano a urlarmi: ‘Devi tornare in comunità, devi tornare in comunità’”. Johan non voleva andare con loro: “Uno di loro mi ha seguito e ha cercato di trascinarmi fuori. Volevano portarmi sul pulmino. Continuava a malmenarmi”. Sempre quella stessa persona ha cercato di tappare la bocca del ragazzo, che però è riuscito a urlare: “Mia zia è uscita e ha iniziato a dire che quella era proprietà privata e dovevano andare via. Ho chiesto a mio zio di portarmi dai carabinieri”.

Gli episodi dell’inchiesta

Sheila parla e viene minacciata

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Anche Sheila Gentile è entrata in comunità da minorenne. Aveva 15 anni nel 2011 e, come ci racconta, è stata lei stessa ad acconsentire di andare alla Shalom per problemi di tossicodipendenza: “Sapevo che era una comunità molto rigida, ma ho scelto di entrare perché ho pensato che poteva servirmi una comunità così”. Sheila ha conosciuto presto le punizioni. Già appena dopo il suo arrivo la fanno restare sveglia per tutta la notte: “Ho fatto la notte perché non volevo mangiare il gorgonzola. Sono stata tutta la notte con il piatto davanti, aspettando che mi mandassero a dormire”. Nella comunità di Suor Rosalina ad ogni azione corrisponde una conseguenza e le punizioni sarebbero all’ordine del giorno. Sheila racconta un episodio che sarebbe accaduto a una delle sue compagne: “Eravamo in Puglia per visitare la chiesa di Padre Pio. Una delle ragazze non si sentiva bene. Quando entriamo a vedere le reliquie di Padre Pio, ha vomitato dentro. È stata accusata davanti a tutti dalla suora di essere indemoniata. E quando siamo rientrati, oltre alla punizione, è stata mandata a fare dieci sedute dall’esorcista”.

Ma Sheila le violenze, soprattutto psicologiche, le ha subite anche sulla propria pelle: “Mi ricordo che un giorno ho sbagliato a piantare dei fiori e Suor Rosalina mi ha dato della puttana tossica perché non li avevo piantati come voleva lei”. Sheila è rimasta in comunità per quattro anni e, col tempo, è diventata una vecchia. La sua storia conferma quello che l’inchiesta di Backstair aveva denunciato sulla distribuzione dei farmaci effettuata da personale non qualificato: “Distribuivo personalmente i farmaci alle ragazze anche se non sapevo cosa stavo dando. Dopo che ho visto il servizio sono stata molto male, perché fino ad allora non avevo capito la gravità della situazione”. Sheila ci spiega che quando si diventa vecchi si è obbligati a comportarsi in un certo modo: “Tante ragazze menavano le altre ospiti, le prendevano a sberle e le trascinavano a terra. Ma lo facevano perché veniva detto loro di farlo e se non lo facevi passavi dalla parte del torto”.

Secondo l’ex ospite quando si entra in Shalom si vive “in un mondo parallelo”: “Tu  non sai più cosa succede fuori, quello che ti dicono va bene. Vivi come loro e almeno fai passare il tempo e gli anni”. Sheila precisa che la permanenza a Shalom le è servita per cambiare una parte del suo carattere, ma “mi ha fatto stare male e non scorderò mai quello che ho passato lì dentro”. “Quello che avete ripreso è poco rispetto a tutto quello che abbiamo passato lì dentro”, aggiunge. Sheila ha deciso di metterci la faccia perché è convinta che sia la scelta giusta per cambiare le cose. Quando Suor Rosalina Ravasio l’ha saputo, l’ha chiamata: “Mi ha minacciata, mi ha detto che me la farà pagare e che dovrò sganciare parecchi soldi. Poi ha riattaccato, non mi ha dato neanche la possibilità di rispondere”.

Jason: “Per le botte mi è fuoriuscita l’anca”

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Jason Mainetti ha fatto ingresso nella comunità di Suor Rosalina a 13 anni, nel 2009, e ci è rimasto fino al 2013. “Ero un ragazzino che non rispettava le regole, non accettava i cambiamenti. Ero uno dei più piccoli in quel momento e non c’entravo nulla con quell'ambiente”. Se l’impressione iniziale è quella di un “paradiso celeste”, la verità – spiega Jason – è che “appena si chiude quel cancello, è la casa degli orrori”. Nei quattro anni che ha trascorso nella comunità, Jason avrebbe visto e subito violenze e umiliazioni: “C’era gente che sbavava, che sveniva, che non si reggeva in piedi, che veniva pestata”.

L’ex ospite racconta la situazione della legna, la zona più dura di tutta la comunità: “Qui venivano messi i ragazzi più problematici e loro vivevano lì praticamente. Arrivavano lì la mattina e tornavano alle 10, 10.30 di sera. Mangiavano lì, bevevano lì, facevano tutto lì. Stavano tutto il giorno a tagliare legna e quella era una punizione”. Jason ci conferma che è proprio in questa zona, lontana dal resto della comunità, che si consumerebbero i pestaggi: “I ragazzi venivano presi di forza, in 5-6. Li trascinavano, dalla testa o dai piedi, si sbucciavano ginocchia, braccia, gambe, faccia. Ci trattavano come se fossimo bestiame”. Anche Jason è stato vittima di questi pestaggi: “Mi è stata buttata fuori l’anca, è fuoriuscita”.

L’ex ospite è sicuro che la responsabile della comunità sia a conoscenza delle violenze: “Un vecchio prima di portare un ragazzo dalla suora, l’ha già pestato. Suor Rosalina vede i lividi che quel ragazzo ha in faccia, Suor Rosalina vede la persona che sta male”. Jason ci racconta che nel momento in cui è entrato nella comunità si è fatto una promessa: “Mi tengo calmo fino ai 18 anni, rispetto le regole, mando giù il più possibile, ma io a 18 anni esco di qua”. Quando, maggiorenne, ha detto ai suoi vecchi che voleva andare via, questi l’hanno portato da suor Rosalina: “Lei ha detto ‘Chiudetelo nello stanzino e lasciatelo lì finché non cambia idea’. In quello stanzino con me c’erano 5-6 vecchi, le ho prese quel pomeriggio. Fino alle 5 del mattino sono rimasto lì senza bere né mangiare. A quel punto, visto che non avevo cambiato idea, Suor Rosalina viene e mi dà i miei documenti e mi dice ‘Vai, vai pure’. Ho corso da Palazzolo a Chiari, a un certo punto vedo delle luci dietro di me. Aveva mentito, mi aveva detto: ‘vai’, ma poi ha mandato le macchine a cercarmi”. Jason avrebbe convinto quei vecchi a lasciarlo andare, ma la Shalom gli ha lasciato “parecchie ferite e traumi. Non è stato facile ricominciare”.

Giada: “Ci metto la faccia per mia figlia”

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A portare Giada Bassanini in comunità è stata la polizia: era il 9 settembre del 2009 e ci è rimasta fino al 3 gennaio 2012. Giada continuava a scappare di casa, tanto che la madre si era rivolta agli assistenti sociali. “Tutta quella situazione non mi è mai quadrata dall’inizio”, dice Giada. “La mia idea era quella di scappare la sera stessa. È una cosa pazzesca, un carcere”. L’ex ospite parla delle consacrate, le suore che gestiscono la comunità assieme a suor Rosalina, che “prima erano tutte dolci, poi cambiavano totalmente. Se la prendevano con noi, riversando sulle ragazze le loro frustrazioni”.

Il rapporto con la responsabile della comunità non è mai stato buono: “Mi creava problemi, mi ha messo i bastoni tra le ruote in tutti i modi. Non mi ha fatto passare dei bei momenti”. Giada ci racconta che Suor Rosalina spesso l'avrebbe insultata: “Stronza, puttana, troia. Tutte queste parole”. Questa ex ospite ci racconta di un clima di vero terrore: “Tu eri costretto a fare e a dire quello che voleva lei. In caso contrario, te la faceva pagare”. Come? “Ti portava in laboratorio, ti faceva picchiare”. Secondo Giada erano molte le ragazze che provavano a scappare: Se riuscivi a scappare, buon per te, ma se non riuscivi erano cavoli tuoi. Venivi portato il laboratorio, picchiato, non dormivi, ti somministravano farmaci”. Dopo due anni, Giada non ce la faceva più: “Un giorno, c’erano i genitori in comunità. Ho detto a mia madre di prendere le mie cose, perché sarei andata via con lei. L’ho detto a una vecchia, che ha cercato di trattenermi e poi mi ha portato da Suor Rosalina. Lei ci ha detto che eravamo delle puttane, ha dato una sberla a mia madre e ci ha spintonato fuori”. Giada sarebbe stata convocata dai carabinieri per un colloquio durante le indagini preliminari, ma poi ha scelto di non testimoniare a processo: “Avevo una bambina piccola e la suora mi faceva paura. Oggi vedo questi video e penso alle ragazze, ai bambini che ci sono dentro. L’unica cosa che possiamo fare è parlare, non dobbiamo avere paura. E io questa cosa l’ho capita adesso. Penso a un domani, se ci fosse mia figlia e scopro che fanno queste cose, io ribalto il mondo”.

Nicole, costretta in ciabatte nella neve

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Anche Nicole Locatelli è entrata in Shalom per problemi comportamentali. Era il 2011 e aveva 14 anni. “Ero una ragazza un po’ ribelle e i miei genitori, fidandosi di alcuni amici, hanno deciso di portarmi alla Shalom”, ci racconta. Già da subito la quattordicenne non si è sentita a suo agio: “Mi sembrava una situazione molto strana”. La sua sensazione iniziale è stata confermata da quello che ha visto: “Mi ricordo di questa ragazza, con lei usavano molta violenza. La spintonavano, urlavano contro di lei. Lei stava male, prendeva molti farmaci. e diverse vecchie la trattavano malissimo”.

Anche Nicole sarebbe stata vittima di violenza, soprattutto psicologica: “Mi sono sentita umiliata, come se fossi inferiore”. Dopo circa un anno di questa vita, Nicole avrebbe deciso di scappare: “Era da un po’ che pensavo a come fare. Un giorno è arrivata questa ragazza, non potevamo parlare perché con le nuove con ci si può scambiare nemmeno uno sguardo”. Nicole e questa ragazza avrebbero iniziato a scambiarsi dei bigliettini di nascosto: “Entrambe volevamo andare via da quel posto. Purtroppo ci hanno scoperto e a quel punto ci hanno punito. Mi hanno tolto le scarpe per un mese. Sono andata in giro con le infradito, era inverno e c’era la neve”.

Nicole era in comunità nel periodo in cui sono iniziate le indagini per appurare se dentro la comunità si consumassero maltrattamenti. “Sono arrivati i carabinieri e mi hanno chiamato a fare un colloquio, ma per paura delle conseguenze da parte della suora e delle vecchie, non sono riuscita a dire quello che succedeva lì dentro. Gli ho detto una piccola parte”. È stato sempre per paura che Nicole non avrebbe denunciato una volta che, grazie all’insistenza dei suoi genitori, sarebbe riuscita a uscire da lì. “Forse sta saltando fuori tutto quello che non è saltato fuori fino a ora. Spesso mi torna in mente questa esperienza e penso che me la porterò dietro tutta la vita, purtroppo”.

Serena: "Suor Rosalina stava per darmi in adozione a mia insaputa"

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Serena Rentoni aveva 11 anni quando è arrivata alla Shalom, nel 2011, per problemi comportamentali. “Ero ritenuta ingestibile, ero molto agitata. Mia madre, tramite un prete, ha deciso che mi serviva un posto che mi raddrizzasse”. Quando ripensa a quel periodo, la sensazione che ha è quella dell’angoscia: “Tutto era assurdo là dentro. C’era la responsabile che controllava che cosa facessi in bagno!”. Il clima che si respirava dentro la comunità era di “paura e sottomissione” e la suora era “lodata da tutti come se fosse Dio”. Ma non c’era alternativa, spiega ancora Serena: “Se non facevi come dicevano loro, finiva veramente male”. E cioè, spiega ancora l'ex ospite, si andava in laboratorio a lavorare o si finiva in silenzio: “Sono stata in laboratorio anch’io, a fare le guarnizioni, avevo 11 anni”.

Serena ricorda le notti passate in punizione, sveglia, ma anche la violenza fisica perpetrata dalla responsabile: “Io mi ricordo di tante volte in cui Rosalina me le dava. Mi sono beccata tante di quelle sberle da lei, ché io non andavo a scuola perché avevo i capillari rotti in faccia”. All'interno della comunità Serena avrebbe assistito a tanti episodi di violenza fisica e psicologica: “C’erano strattonamenti e le persone erano trattate come immondizia”. Serena un giorno, tornando da scuola, avrebbe trovato la madre ad aspettarla, con le valigie pronte: “Mia madre aveva scoperto che Rosalina mi stava dando in adozione a un’altra famiglia. Io avevo visto che gli incontri con mia madre erano sempre più radi, ma non capivo. Nel frattempo mi facevano incontrare questa famiglia: mi ricordo di questa donna bionda che mi portava tanti regali. Ho ancora una sua sciarpa. Solo dopo ho capito che era la famiglia da cui stavo per essere adottata”. Serena ha deciso di metterci la faccia, perché “Io voglio che lei mi veda, che lei mi riconosca e che sappia che sono proprio io a dire queste cose”. Poi lancia un messaggio alla suora: “Riconosci i tuoi errori, hai sbagliato. Cara Rosalina, ci sono prove su prove, non puoi più continuare a negare così”.

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