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Strage Bologna, la rabbia dei familiari delle vittime: “Gli atti desecretati sono solo cartaccia”

Gli atti della Strade di Bologna desecretati in seguito alla direttiva Renzi del 2014 sono “cartaccia”. A dirlo, a quasi 40 anni dalla strage che costò la vita a 85 persone, è Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime. “Ci hanno fregato: con quello che hanno versato non si sarebbe nemmeno iniziato il primo grado di giudizio per la strage di Bologna. Ora discutiamo per arrivare ai mandanti, c’è un processo che va in quella direzione, ma con quei documenti invece non saremmo nemmeno arrivati alle condanne del 1995”.
A cura di Davide Falcioni
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Gli atti della Strade di Bologna desecretati in seguito alla direttiva Renzi del 2014 sono "cartaccia". A dirlo, a quasi 40 anni dalla strage che costò la vita a 85 persone, è Paolo Bolognesi, presidente dell'associazione dei familiari delle vittime. "Ci hanno fregato – accusa -, con i versamenti dei documenti riferiti a quel provvedimento, che sono stati assolutamente insufficienti. Lo abbiamo denunciato negli anni e adesso addirittura abbiamo fatto vedere che le carte versate sono cartaccia, rassegne stampa e cose non importanti per andare avanti con le indagini". Secondo Bolognesi "con quello che hanno versato non si sarebbe nemmeno iniziato il primo grado di giudizio per la strage di Bologna. Ora discutiamo per arrivare ai mandanti, c'è un processo che va in quella direzione, ma con quei documenti invece non saremmo nemmeno arrivati alle condanne del 1995".

Secondo l'associazione dei familiari delle vittime della strage, dunque, la tanto sbandierata trasparenza derivante dalla desecretazione degli atti sarebbe solo una chimera: i servizi segreti, infatti, non hanno declassificato tutta la documentazione in loro possesso ma solo una parte, la più "innocua". “Abbiamo chiesto per esempio le schede con i curriculum dei vari terroristi per ricostruire eventuali legami, ma niente: hanno risposto che la declassificazione era per temi e non per nomi”, ha spiegato Bolognesi, che ieri ha mostrato il manifesto per il quarantesimo anniversario della strage: “La strage è stata organizzata dalla loggia massonica P2, protetta dai vertici dei servizi segreti italiani, eseguita da terroristi fascisti“, si legge, nero su bianco. Il riferimento del manifesto è alle novità emerse dall’inchiesta della Procura generale conclusa quest’anno, che ha individuato in Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi – tutti e quattro morti – i mandanti e finanziatori della strage. I Nar Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini sono condannati in via definitiva, Gilberto Cavallini in primo grado all’ergastolo e si sta attendendo la fissazione dell’udienza per Paolo Bellini, ex Avanguardia Nazionale, in ipotesi d’accusa il quinto uomo del commando: per gli inquirenti era sul luogo della strage pochi minuti prima dell’esplosione e a provarlo sarebbe un vecchio video amatoriale.

La strage di Bologna venne finanziata dalla P2 di Licio Gelli

Andrea Speranzoni, avvocato dell'associazione dei familiari delle vittime, ha spiegato che l'inchiesta della Procura sui mandanti "è stata soddisfacente e meticolosa. Non è ancora conclusa perché c'è un secondo filone in corso, ma che credo dia al puzzle della strage del 2 agosto dei pezzi fondamentali che fino ad oggi mancavano". Il legale ha quindi parlato dell'analisi della movimentazione dei conti bancari e, in particolare, del conto ‘Bologna' riferibile al capo della Loggia P2 Licio Gelli. "La Procura generale l'ha integralmente decrittato il documento alla virgola e al centesimo. Possiamo dire – afferma – che l'operazione eversiva sfociata nel 2 agosto 1980, è stata agita da uomini della P2 e dello Stato e ha avuto un anticipo economico tra il 16 febbraio 1979 e il 30 luglio 1980, tre giorni prima della strage, e un saldo economico che inizia a sedimentarsi a partire dal 22 agosto 1980". "L'originale del documento ‘Bologna', sequestrato a Licio Gelli nel momento dell'arresto nel 1982" che era andato perso e "inabissato", ha spiegato "è stato ritrovato nell'archivio di Stato di Milano, nel portafogli sequestrato allo stesso Gelli".

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