Stalking, per la Cassazione se la vittima risponde al persecutore decade l’accusa

La vittima di stalking non deve mai interloquire con chi la perseguita ad esempio fermandosi a parlare o rispondendo ai suoi messaggi, altrimenti decade l'accusa di stalking e soprattutto si perdono le eventuali misure di protezione come il divieto di avvicinamento. È quanto ricorda la Cassazione chiamata a sentenziare su un caso di stalking in cui una donna è stata vittima del suo ex fidanzato. Nel caso specifico la ragazza, nonostante avesse lasciato il fidanzato a causa della sua ossessiva gelosia e successivamente lo avesse denunciato per stalking, continuava a rispondere alle sue telefonate e ai suoi sms anche dal grave contenuto minatorio. Non solo, il fatto che la donna avesse accettato un "incontro chiarificatore" con l'ex, per i giudici sarebbe un altro elemento che evidenzia il suo comportamento poco coerente e quindi hanno fatto decadere l'accusa di stalking anche se rimangono gli altri reati di ingiuria o minaccia.
"Laddove il comportamento del soggetto passivo in qualche modo assecondi il comportamento del soggetto agente, viene meno il requisito indispensabile del mutamento radicale delle proprie abitudini e la situazione di ansia che segna in modo irreversibile la vita della vittima", hanno spiegato infatti gli "ermellini" facendo cadere l'accusa di atti persecutori a carico di un ventunenne napoletano così come già stabilito dal Tribunale partenopeo.
Secondo la Suprema Corte, il tribunale delRiesame ha accolto correttamente il ricorso del ragazzo annullando il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla ragazza perché "nel valutare il racconto della persona offesa, pur prendendo atto delle minacce continue, ed anche gravi e al cospetto di estranei dell'uomo, non ha potuto far a meno di verificare comportamenti per lo meno incongrui posti in essere dalla destinataria di tali minacce, consistiti nel proseguire i rapporti telefonici rispondendo al proprio interlocutore anziché prenderne le distanze".