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Cambiamenti climatici

Siccità, l’esperto FAO: “Verso l’Italia avanza il deserto, servono soluzioni a lungo termine”

Il vice-presidente del network di esperti per la Biodiversità dei suoli (NETSOB) della FAO: “Le nostre istituzioni non sono in grado di ragionare oltre l’emergenza: ci si limita all’erogazione dei fondi necessari alla compensazione dei danni. Manca però una programmazione di medio-lungo termine: la cabina di regia del governo dovrebbe realizzare infrastrutture per affrontare sia la siccità che le devastanti bombe d’acqua. Ma non è stato fatto niente”.
Intervista a Gian Luca Bagnara
Vice-presidente del network di esperti per la Biodiversità dei suoli (NETSOB) della FAO.
A cura di Davide Falcioni
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"Il deserto del Sahara si sta spostando verso nord. Questo processo, di per sé naturale, è significativamente accelerato dal cambiamento climatico di origine antropica". A dirlo, intervistato da Fanpage.it, il dottor Gianluca Bagnara, economista agroalimentare, presidente di Copa-Cogeca (l'organizzazione che rappresenta il settore agricolo a Bruxelles) e vice-presidente del network di esperti per la Biodiversità dei suoli (NETSOB) della FAO.

E che il clima sia ormai sempre più arido lo sanno bene i cittadini delle regioni dell'estremo sud Italia, dove la siccità ha già raggiunto livelli di guardia; secondo l'ultimo bollettino mensile dell'Anbi, l'associazione dei consorzi di bacino, "se al Nord, stante la situazione che si va delineando, si prospetta una stagione estiva senza particolari apprensioni idriche, al meridione è già emergenza".

Gian Luca Bagnara
Gian Luca Bagnara

I territori più assetati della Sicilia non hanno beneficiato di una quantità di pioggia tale da riequilibrare il drammatico bilancio idrico negativo, maturato dopo 8 mesi di quasi totale aridità: le precipitazioni sono state, infatti, mal distribuite sul territorio, andando da una manciata di millimetri di pioggia, caduti sulle assetate province di Catania, Ragusa e Siracusa, ai 271,4 millimetri in 72 ore su Prizzi, nel Palermitano. In Basilicata gli invasi trattengono solo il 35% della capacità complessiva. Analogo discorso vale per gli invasi a servizio del Tavoliere della Puglia.

In questo quadro il comparto agricolo è quello che soffre maggiormente. E il tema della siccità, sebbene non ve ne sia praticamente traccia nelle "proteste dei trattori" delle ultime settimane, rappresenterà la sfida principale per il futuro. Secondo Bagnara "non c'è da stare affatto tranquilli".

Perché?

Quello che sta avvenendo a livello macroscopico globale è lo spostamento del deserto del Sahara verso nord; si tratta di un processo irreversibile, iniziato ormai migliaia di anni fa. Ricordo che un tempo alle nostre latitudini eravamo in piena glaciazione e che l'attuale deserto era un'area verde del pianeta. Ebbene, questo processo di per sé naturale è significativamente accelerato dal cambiamento climatico di origine antropica. L'avanzata del Sahara sta coinvolgendo tutto il sud Europa e il Nord Africa, con variazioni da un anno all'altro: fenomeni come le ondate di calore che stiamo vivendo sempre più di frequente si combinano con vere e proprie bombe d'acqua, perché le perturbazioni che arrivano hanno cariche d'energia enormi. In questo quadro gli impatti sull'agricoltura sono molto seri e la siccità si aggrava. La Spagna si sta attrezzando con infrastrutture per accumulare oltre il 30% dell'acqua piovana con bacini e riserve. In Italia siamo in grado di trattenere meno del 10% dell'acqua piovana. Voglio sottolineare che il problema non riguarda solo il sostegno alla produzione agricola, ma anche la disponibilità sempre minore di acqua potabile.

Pochi giorni fa l'Anbi, l'associazione dei consorzi di bacino, ha pubblicato il suo bollettino mensile. La situazione siccità è già drammatica in Sicilia.

Sì, in Sicilia è già emergenza. Ma la situazione è grave ovunque: io sono emiliano-romagnolo, nella mia regione non si parla ancora di emergenza solo perché la stagione ortofrutticola non è entrata nel vivo. E il rischio è che, quando arriveranno finalmente le piogge, saranno devastanti come per le alluvioni del 2023. Un tempo era la neve a riempire le falde acquifere; oggi, che nevica molto poco, le piogge non sono in grado di riempire efficacemente quelle stesse falde.

L’emergenza siccità però non deve più stupire. Il governo lo scorso anno ha istituito un’apposita cabina di regia presieduta da Matteo Salvini, Ministro della Infrastrutture. Sta lavorando bene?

Purtroppo le nostre istituzioni non sono in grado di ragionare oltre l'emergenza: ci si limita all'erogazione dei fondi necessari alla compensazione dei danni, e questo va bene nel breve termine per sostenere gli agricoltori. Manca però una programmazione di medio-lungo termine: la cabina di regia del governo dovrebbe cantierizzare infrastrutture per affrontare sia la siccità che le devastanti bombe d'acqua. Vanno anche sostenute le aziende a livello tecnico affinché possano gestire le colture in condizioni di carenza d'acqua. Israele, da questo punto di vista, può insegnarci molto: da sempre coltivano nel deserto.

Cosa sarebbe necessario fare con priorità?

Vanno costruiti bacini per la raccolta delle acque piovane, come ha fatto in questi anni la Spagna. Inoltre dobbiamo adottare tecniche e tecnologie che ci consentano di coltivare con un minore fabbisogno d'acqua: penso ad esempio alle irrigazioni di precisione, al controllo mirato dell'acqua secondo il fabbisogno della pianta, alla copertura dei suoli finalizzata alla limitazione dell'evaporazione. Tutte queste tecniche sono disponibili, ma non vengono adottate. Le politiche di compensazione dei danni non bastano più, e serviranno sempre meno anche in futuro, quando il cambiamento climatico aggraverà ulteriormente il quadro.

Insomma, la cabina di regia sull'emergenza siccità non sta facendo abbastanza…

Decisamente no. È del tutto assente una programmazione di medio-lungo periodo degli interventi tecnici, tecnologici e infrastrutturali. Ripeto: in Italia siamo in grado di catturare meno del 10% dell'acqua piovana; in Spagna sono a oltre il 30%, e loro stessi pensano sia insufficiente. Vanno poi fatti seri investimenti in innovazione, a partire dalla genetica.

A che punto è in Italia la ricerca sulla genetica delle piante, affinché possano resistere ai mutamenti del clima?

Il tema della ricerca nel nostro Paese è stato di fatto abbandonato: abbiamo tra gli scienziati migliori del mondo, ma i loro studi rimangono confinati negli istituti di ricerca e manca la "cinghia di trasmissione" che trasferisca le nuove conoscenze direttamente nel mondo produttivo. La ricerca italiana sembra essere mirata solo all'aumento delle pubblicazioni, ma le innovazioni arrivato molto di rado alle aziende agricole.

Lei è reduce da una riunione a Bruxelles. Cosa è stato deciso?

Sul tema delle politiche agricole l'Europa realizza dei programmi quadro ma sono sempre gli stati membri a prendere le decisioni concrete sulla base dei piani strategici di ciascun Paese. Per il momento ci si limita a discutere delle compensazioni e di aspetti puramente economici, mentre mancano investimenti sul futuro. Quello che vedo di strategico a livello comunitario è invece il dibattito in corso sulla tutela dei suoli: dobbiamo recuperarne la fertilità, se vogliamo avere un'agricoltura resiliente ai cambiamenti climatici.

Che cosa significa?

Oltre alla siccità e all'aumento delle temperature il problema è che i nostri suoli sono ormai diventati molto aridi, avendo perso gran parte della sostanza organica necessaria per fare agricoltura. L'Europa sta finalmente mettendo in campo politiche mirate: i suoli devono diventare serbatoi per la cattura del carbonio. Ritengo che questa sia una strategia fondamentale, perché in questo modo si può significativamente incrementare la sostanza organica, che è la base per il successo di qualsiasi coltivazione. Abbiamo dimenticato per troppo tempo questo aspetto: di fronte ai suoli duri e compatti finora abbiamo pensato bastasse rispondere aumentando la potenza dei trattori. L'Europa ha erogato fondi per permettere alle aziende di acquistare macchine migliori per gestire terreni molto pesanti. Dobbiamo invece lavorare per migliorare la qualità stessa dei suoli agricoli.

Lei avrà seguito le proteste degli agricoltori in Italia. Che idea si è fatto?

Le proteste scaturiscono da un comune malcontento comprensibile. Il punto però è che non vengono affrontati i problemi principali di questo comparto: la siccità, il cambiamento climatico, i suoli "morti"… tutti fattori che incidono direttamente sulla produttività agricola, che nel nostro Paese è diminuita dell'1% ogni anno da 15 anni a questa parte. All'aumento dei costi in agricoltura, quindi, corrisponde un crollo della produttività. Mi sembra che di questi aspetti si parli troppo poco, non mi è chiaro quale sia l'agenda di lavoro che propongono gli agricoltori che stanno protestando in queste settimane.

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