Perché i bambini della famiglia nel bosco potrebbero tornare presto dai genitori: oggi la decisione

È la giornata attesa da settimane: oggi il Tribunale per i Minorenni dell’Aquila è chiamato a pronunciarsi sul possibile ricongiungimento di Nathan e Catherine con i loro tre figli, allontanati il 20 novembre e ora ospitati in una struttura protetta. Una decisione che potrebbe chiudere una vicenda diventata caso politico nazionale, nata dalle condizioni di vita della famiglia nella casa nel bosco di Palmoli e sfociata nella sospensione della responsabilità genitoriale.
Il giudizio odierno dovrà valutare la richiesta di revoca del provvedimento del 20 novembre, alla luce di documenti istruttori aggiornati. Ieri, infatti, il fascicolo si è arricchito delle nuove relazioni redatte dai servizi sociali e dalla responsabile della struttura che ospita madre e figli. Documenti che, secondo quanto emerge, segnano uno scarto rispetto al quadro iniziale.
Le relazioni dei legali della famiglia nel bosco
Le relazioni riferiscono che i tre bambini si sono adattati in modo positivo al collocamento protetto, mostrando stabilità emotiva e assenza di traumi. Anche il quadro sanitario è stato ritenuto rassicurante: le visite pediatriche hanno attestato buone condizioni di salute. Un passaggio determinante riguarda inoltre l’atteggiamento dei genitori, inizialmente descritti come poco collaborativi ma ora indicati come pienamente rispettosi delle prescrizioni del tribunale. Catherine vive nella struttura con i figli e li può vedere solo negli orari stabiliti; Nathan li incontra due volte a settimana. Finora nessuna violazione risulta segnalata.
Sul piano logistico, uno dei punti più contestati del provvedimento – l’inadeguatezza dell’abitazione nel bosco – sarebbe stato superato: Nathan è pronto a trasferirsi in un immobile messo a disposizione da un privato, ritenuto idoneo. La famiglia attenderà lì i lavori di sistemazione della casa originaria, eliminando così un elemento chiave dell’allontanamento.
La difesa punta anche a chiarire gli equivoci all’origine dell’intervento. La barriera linguistica avrebbe inciso pesantemente sulla capacità della coppia di orientarsi tra atti e prescrizioni senza interprete. Rientra in questo quadro la controversa richiesta di 50.000 euro prima degli accertamenti medici sui figli, interpretata non come rifiuto delle cure, ma come una maldestra applicazione di un istituto anglosassone di garanzia, motivato dal timore che esami invasivi potessero disturbare bambini ritenuti sani. A supporto, la documentazione ricorda che i minori avevano già effettuato parte delle vaccinazioni in Italia.
Sul fronte scolastico, i legali respingono l’ipotesi di abbandono: la famiglia aveva comunicato l’intenzione di ricorrere all’istruzione parentale nei tempi previsti e una delle figlie ha superato l’esame di idoneità per la classe terza alla Novalis Open School di Brescia. Una nota del ministero dell’Istruzione conferma la piena legittimità dell’homeschooling.
L’udienza d’appello alla Corte dell’Aquila, fissata per il 16 dicembre, resta formalmente attiva, ma verrebbe ritirata qualora oggi arrivasse il ricongiungimento. Tutto ora ruota attorno alla valutazione del Tribunale: se riterrà sufficiente il nuovo assetto, la famiglia potrà tornare insieme.
La giudice Angrisano: "Abbiamo operato nell'interesse dei minori"
Nel clima acceso che ha accompagnato la vicenda, la presidente del Tribunale per i Minorenni dell’Aquila, Cecilia Angrisano, è intervenuta ieri all’assemblea dell’Anm (Associazione Nazionale Magistrati) abruzzese, convocata dopo gli attacchi ricevuti dalla magistratura minorile.
"Noi abbiamo applicato delle regole giuridiche, contemperate, dopo aver fatto dei tentativi di un bilanciamento tra interessi e diritti sempre volto nell'ottica degli interessi del minore, quindi cercando la collaborazione dei genitori perché loro stessi riescano ad attuare quei diritti. Se questa collaborazione viene, se la disponibilità migliorare c'è, si cerca di trarre la via che è quella più vicina a quel diritto principale, universale che è quello del bambino alla felicità, che prevederebbe il poter vivere serenamente con i suoi diritti garantiti all'interno della sua famiglia di origine. E abbiamo uno strumentario che abbiamo utilizzato, bene, male, lo dirà la Corte che ci valuterà in appello, lo diranno i successivi gradi".
La presidente ha poi ricordato il quadro normativo entro cui si muove la giustizia minorile: "Noi, come tutti i giudici, come tutti i Tribunali, ci occupiamo di diritti. L'occhio con cui noi decidiamo questioni di diritto è quello di quei diritti che a tutti i minori sono garantiti a partire dalla Convenzione dell'Onu del 1989".
Infine, il richiamo alla tutela dei bambini, troppo spesso dimenticata nell’esposizione mediatica del caso: "Non solo noi giudici siamo stati oggetto di attacchi più o meno sconsiderati. Non è stato mantenuto e garantito nemmeno il diritto alla riservatezza dei minori, che il nostro ordinamento riconosce. Quei bambini sono stati esposti nella loro immagine, nel loro nome, nel loro posto dove vivevano, in tutto quello che la legge prevede non si possa fare con un minorenne".