“Vendevamo i biglietti delle partite”: il pentito svela gli affari della ‘ndrangheta nella curva della Juventus

"Vendevamo i biglietti per le partite. Ci eravamo presi una fetta dello stadio". In Tribunale a Torino ha testimoniato in video-conferenza il collaboratore di giustizia più importanti della Dda piemontese, il 45enne Vittorio Raso. Da lontano e senza mostrare il viso è intervenuto in un processo per narcotraffico e ha svelato non solo il traffico di droga ma ben altri affari.
Quando gli è stato chiesto come avesse conosciuto uno degli imputati, l'ex boss non ha potuto evitare di parlare del bagarinaggio. O meglio, dei rapporti tra la curva della Juventus e i boss della ‘ndrangheta che risalgono al 2012. "Vendevamo – ha spiegato davanti ai giudici – i biglietti per le partite, ce li passavano gratuitamente gli ultras del gruppo ‘Bravi Ragazzi‘".
A svelare i primi intrecci tra la tifoseria organizzata e le cosche era stata l'inchiesta Alto Piemonte del 2016: gli inquirenti avevano accertato come il rampollo di una famiglia legata al clan Pesce-Bellocco era diventato parte attivo degli ultras tanto da incontrare i dirigenti della società bianconera. La società, è giusto precisare, non mai finita indagata nell'inchiesta.
Il business della ‘ndrangheta era tutto legato ai guadagni dei biglietti che poteva fruttare più di 20 mila euro a partita. E il rampollo vicino ai Pesce-Bellocco era "uno da tenere buono nel caso fossero sorti dei problemi, come aveva spiegato un leader della curva.
Tra la curva c'era anche Vittorio Raso ma nel 2017 si era trasferito in Spagna e da cui aveva rifornito di hashish e marijuana il mercato italiano fino al suo arresto del 23 giugno 2022. Il suo fedelissimo era proprio l'amico che aveva conosciuto ai tempi dello stadio.
Raso ha precisato durante la testimonianza in aula: "Nel 2019 me lo arrestarono, ma rimasi in contatto con il suo socio, un ragazzo di Bosconero (Torino – ndr)". Un po' alla volta il giro si allargò al punto che uno dei corrieri "faceva su e giù per tutta l'Italia e non riusciva a stare dietro a tutto". Poi la forte necessità di fare soldi: "Un anno dopo il mio arrivo in Spagna fui dichiarato latitante, e un latitante deve sostenere molte spese. Avevo bisogno di risorse economiche". La latitanza l'ha passata in uno delle zone più esclusive di Barcellona. Infine l'arresto suo e quella della compagna. Una volta in carcere ha deciso di collaborare: "Non ce la facevo più". Confessando di aver provato turbamento quando ha visto la compagna arrestata.