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Omicidio di Nada Cella

“Nada Cella raggiunta da più colpi alla testa, provò a difendersi”: ricostruita in aula la dinamica del delitto

A Genova va avanti il processo per l’omicidio di Nada Cella, la ragazza di 25 anni uccisa il 6 maggio 1996 a Chiavari. Un cold case durato quasi 30 anni che è stato inaspettatamente riaperto nel 2021. Accusata del delitto Annalucia Cecere. Nuovi testimoni sono stati ascoltati in aula: ricostruita la dinamica del delitto, sparita la presunta arma del delitto.
A cura di Eleonora Panseri
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Nada Cella e Annalucia Cecere.
Nada Cella e Annalucia Cecere.
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A Genova va avanti il processo per l'omicidio di Nada Cella, la ragazza di 25 anni uccisa in uno studio di commercialisti il 6 maggio 1996 a Chiavari. Un cold case durato quasi 30 anni che, inaspettatamente, è stato riaperto nel 2021. Accusata del delitto e imputata nel procedimento è Annalucia Cecere. 

Insieme a lei anche Marco Soracco, datore di lavoro della vittima, che deve rispondere di favoreggiamento false dichiarazioni agli inquirenti. In aula oggi sono stati sentiti, come testimoni dell'accusa, il medico legale Francesco Ventura, la dirigente della Polizia scientifica di Roma, Daniela Scimmi, e l'esperto informatico Mattia Epifani,

Secondo quanto rilevato dagli esperti, le macchie di sangue trovate negli angoli e dietro i mobili della stanza dove la ragazza venne brutalmente assassinata darebbero "l'idea della dimensione della vastità dell'agire aggressivo" dell'omicida.

In particolare, "la ripetitività e brutalità dei colpi alla testa" della vittima ne hanno determinato il decesso, ha dichiarato in aula il professor Ventura, il medico legale che si è occupato della perizia sui documenti dell'autopsia sul corpo della ragazza, effettuata subito dopo l'omicidio.

In aula sono state mostrate poi le foto d'epoca del delitto. La macchia di sangue a raggiera indicherebbe secondo gli esperti che l'azione è stata ripetuta con oggetti contundenti al capo, "almeno una decina di colpi". La vittima, presumibilmente, era supina e l'aggressione potrebbe essere avvenuta in due momenti diversi.

"Potrebbe esserci stata una veloce dinamica quando non era a terra, ma a terra ha avuto l'azione aggressiva mortale con colpi ripetuti, che fanno pensare ad un delitto di impeto", ha sottolineato ancora Ventura. C'erano anche lesioni coerenti con ferite da difesa, specie negli arti superiori, nella zona dorsale.

In aula anche Daniela Scimmi, direttore tecnico e biologo della Polizia scientifica di Roma. Per la dirigente, in questo cold case non esisterebbe una "pistola fumante" alla luce delle indagini tecnico-scientifiche. L'arma del delitto, inoltre, non è mai stata trovata: potrebbe essere stata usata la pinzatrice che non era più presente nell'ufficio dopo l'omicidio. O un portaombrelli, che presenta alcune macchie, che però potrebbe essere stato lavato e poi ritrovato in cucina.

Quando, nel 2021, venne riaperto il caso di Nada Cella, "non ci vennero dati tutti i reperti che erano stati sequestrati all'epoca", tra cui un set di oggetti da scrivania del professionista. Della sparizione ne ha parlato proprio Scimmi. Per l'accusa, sostenuta dalla pubblico ministero Gabriella Dotto, Nada venne aggredita subito all'ingresso dell'ufficio con un fermacarte in onice che era sulla scrivania di Soracco e che, subito dopo l'omicidio, venne trovato in un armadietto nella stanza della segretaria senza nemmeno un'impronta.

Quel fermacarte faceva parte del set che Soracco ha conservato ancora nel 2021 quando la polizia andrò a riprenderlo. Ma il fermacarte, insieme a un porta penne e al portaombrelli, non ci sono più. "Erano stati restituiti nel 1997 quando Soracco ne fece richiesta – ha spiegato Scimmi -, quando nel 2021 li richiedemmo per rianalizzarli ci vennero dati solo un portapenne quadrato e un posacenere che facevano parte di quel set. Gli altri oggetti erano nella lista che ci venne consegnata ma le scatole dei reperti erano vuote".

L'esperta ha anche spiegato che nel 2021 trovarono tracce di Dna sulla camicetta di Nada e sulla sedia non solo riferibili alla vittima. "Ma erano di pessima qualità e quindi non confrontabili. È vero che non venne trovato il cromosoma Y, ma vista la scarsa qualità non potemmo dire con certezza che si trattava effettivamente di Dna di un'altra donna. Inoltre, i profili genetici trovati potrebbero essere stati inquinati dai soccorritori o da altre persone".

Durante l'udienza è intervenuto anche Mattia Epifani, perito informatico, che ha presentato la relazione sugli accessi al PC di Cella nell'ufficio del commercialista Marco Soracco, per cui lavorava. Secondo il perito, che ha esaminato un anno di attività sul dispositivo della giovane, l'accesso delle 7.50 della mattina dell'omicidio era anomalo. L'attività normale di Nada partiva infatti solitamente attorno alle 9 del mattino.

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