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Luca Ventre, parla la famiglia: “Era spaventato da qualcosa”, e spuntano i post del poliziotto che lo ha strangolato

Contattata da Fanpage.it, la famiglia del giovane italiano morto dopo essere stato tenuto per il collo nel cortile dell’ambasciata italiana in Uruguay, racconta di aver ricevuto una telefonata anonima che lo avvisava del figlio “ferito”. E mentre i familiari cercavano la verità da soli, sentendosi abbandonati dallo Stato italiano, il poliziotto uruguaiano su Facebook risultava ancora in servizio e scriveva che “Essere della polizia è un dono di cui sono dotati in pochi”.
A cura di Stela Xhunga
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Il 1°gennaio 2021, dopo circa otto ore dalla morte di Luca Ventre, una telefonata anonima ha informato il padre che "Luca è ferito in ospedale". A raccontarlo a Fanpage.it è lo stesso Mario Ventre, genitore del trentaduenne morto il 1 gennaio scorso dopo essersi introdotto nell'ambasciata italiana di Montevideo per motivi ancora ignoti ed esser stato fermato da un poliziotto che lo ha bloccato a terra premendogli il collo per quattordici minuti. "Ho ricevuto la telefonata alle 16.15, la voce era maschile, il tono sicuro, appena ha finito la frase ha riagganciato", ha raccontato Mario Ventre. Dopo la telefonata, l'uomo si è recato in ospedale e una volta lì ha scoperto che il figlio non era ferito, bensì deceduto. L'ultima volta che lo aveva sentito telefonicamente era stato il giorno 30 dicembre 2020: Luca si era mostrato preoccupato e aveva confessato l'intenzione di rientrare in Italia. Recentemente aveva preso casa in una zona più centrale della città, dove diceva di sentirsi più sicuro, nonostante, spiega ancora il padre, "Luca fosse un tipo che quando aveva problemi non parlava, si chiudeva". Nulla, insomma, lasciava presagire che fosse in pericolo di vita o si trovasse invischiato in guai grossi.

L'1 gennaio 2021, dopo circa otto ore dalla morte di Luca Ventre, una telefonata anonima ha informato il padre: "Luca è ferito in ospedale". A raccontarlo a Fanpage.it è lo stesso Mario Ventre: "Ho ricevuto la telefonata alle 16.15, la voce era maschile, il tono sicuro, appena ha finito la frase ha riagganciato". Dopo la telefonata, l'uomo si è recato in ospedale e una volta lì ha scoperto che il figlio non era ferito, bensì deceduto. L'ultima volta che lo aveva sentito era stato il giorno 30 dicembre 2020,  durante la telefonata Luca si era mostrato preoccupato e aveva confessato l'intenzione di rientrare in Italia. Recentemente aveva preso casa in una zona più centrale della città, dove diceva di sentirsi più sicuro, nonostante, spiega ancora il padre, "Luca fosse un tipo che quando aveva problemi non parlava, si chiudeva". Nulla, insomma, lasciava presagire che fosse in pericolo di vita o che si trovasse invischiato in guai grossi. Ciò nonostante, nel corso dei mesi, la stampa uruguaiana e in parte quella italiana hanno cercato di dipingerlo come un violento, un balordo. Ci fu chi parlò addirittura di "terrorista", all'inizio.

La telefonata anonima proveniente da una zona periferica di Montevideo abitata da molti poliziotti

A distanza di giorni, tramite tecnici legali, il padre è riuscito a localizzare la zona da cui è stata effettuata la telefonata anonima: una periferia di Montevideo "dove risiedono molti poliziotti, perché i quartieri si dividono anche così, per professioni". L'ipotesi della famiglia è che nella telefonata fosse coinvolto in qualche modo il poliziotto che ha tenuto Luca Ventre per circa 20 minuti per il collo.

Chi è il poliziotto che ha strangolato Luca Ventre 

"Essere della polizia è un dono di cui sono dotati in pochi": così scriveva Ruben Dos Santos, il poliziotto che la mattina dell'1 gennaio 2020 ha tenuto per ben 14 minuti, quasi il doppio di quelli che hanno provocato la morte di George Floyd, Luca Ventre. Dopo la mattina dell'1 gennaio, per settimane, mesi, l'agente ha tenuto il profilo Facebook pubblico, dove era solito pubblicare post riguardanti la polizia, alcuni addirittura con riferimenti religiosi, in cui Gesù Cristo si congratula con un  poliziotto perché "Essere della polizia è un dono di cui sono dotati in pochi".

Sui social Ruben Dos Santos ha continuato a figurare come "Capo" della "SEGURIDAD DIPLOMATICA" anche dopo la morte di Luca. Anche quando,stando alle dichiarazioni dell'ambasciatore italiano a Fanpage.it, il poliziotto aveva smesso di prestare servizio in ambasciata. Andando poi indietro nel tempo, si apprende che Ruben Dos Santos ha studiato infermeria presso la "Escuela Matriz de Enfermeria" di Montevideo, il che significa che per lo meno conosceva le possibili e letali conseguenze di una forte sul collo per un lasso di tempo così prolungato come quella che ha esercitato su Luca.

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"Luca era un ragazzo buono e amato da tutti"

"Hanno cercato di far passare Luca per un terrorista, un drogato, un violento, un poco di buono, in questi mesi ho dovuto sentire ogni nefandezza su mio fratello", si sfoga Fabrizio Ventre, che ribadisce quanto Luca fosse "di casa" in ambasciata, dopo averci lavorato per anni al fianco al padre svolgendo funzioni di consulenza e collaborazione presso la Camera impresariale di Italia – Uruguay. "Luca era un uomo attivo a cui piaceva lavorare, sempre pieno di idee aveva anche aperto una pizzeria portando a Montevideo la pizza napoletana a Montevideo", sottolineano. Ed era da poco diventato padre di Clara, una bambina oggi di otto mesi avuta dalla precedente relazione con l'ex compagna Monica, conosciuta in Uruguay.

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