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Morta a 56 anni dopo iniezione di antibiotico: vent’anni dopo famiglia risarcita con un milione di euro

Nel 2004 una donna di 56 anni era morta per shock anafilattico in un ospedale della provincia di Arezzo dopo essersi sottoposta a una flebo di antibiotico per un’infezione al ginocchio. Ora, a distanza di 20 anni, i familiari hanno ottenuto un risarcimento milionario. Riconosciuta la responsabilità dei medici: “Non adottarono un intervento terapeutico d’emergenza”.
A cura di Eleonora Panseri
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Immagine di repertorio.
Immagine di repertorio.

I familiari di una donna di 56 anni, morta per shock anafilattico in un ospedale della provincia di Arezzo nel 2004 dopo essersi sottoposta a una flebo di antibiotico per un'infezione al ginocchio, hanno ottenuto un risarcimento milionario, a distanza di 20 anni dai fatti.

Il 24 febbraio 2004 la donna si era recata presso una struttura ospedaliera di Castiglion Fiorentino, quando aveva detto al marito e alle due figlie che sarebbe tornata a casa dopo essersi sottoposta in day hospital alla terapia antibiotica prevista per curare un’infezione al ginocchio, derivante da un precedente intervento chirurgico.

La 56enne, appena iniziato il trattamento, aveva accusato un forte bruciore al braccio, che si era progressivamente esteso a tutto il corpo. Erano poi seguite difficoltà respiratorie, cianosi, perdita di coscienza e crisi epilettiche, tutti sintomi di uno shock anafilattico, riporta il Corriere fiorentino.

Come si legge negli atti del processo, era stato quindi richiesto subito l’intervento dei medici e dei medici anestesisti che di fronte alla gravità della situazione avevano deciso di portare in sala operatoria e iniziare alle manovre per rianimare la paziente che, tuttavia, era morta due ore dopo dall'insorgere dei primi sintomi.

Pochi giorni fa la giudice Marina Rossi ha condannato l’Asl Toscana Sud Est a risarcire la famiglia con un milione di euro, con interessi e rivalutazione, per i danni patrimoniali e non patrimoniali. Secondo la sentenza, i sanitari non avrebbero agito in modo abbastanza adeguato e tempestivo.

La donna infatti poteva essere salvata con una terapia immediata a base di adrenalina e ossigenoterapia. Nel procedimento giudiziario è dunque emersa la responsabilità dei sanitari e nelle carte si legge: "Stupisce che neppure i medici del reparto, inizialmente contattati dalla caposala, non abbiano adottato un intervento terapeutico d’emergenza".

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