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Matteo Messina Denaro racconta come ha fatto a prendersi il nome di Andrea Bonafede

“Ho incontrato Bonafede al suo ufficio perché a casa sua c’erano le telecamere”. Il racconto del boss durante l’interrogatorio dei procuratori Paolo Guido e Maurizio De Lucia.
A cura di Roberto Marrone
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È stato depositato il verbale di uno degli interrogatori realizzati dai procuratori antimafia di Palermo Paolo Guido e Maurizio De Lucia al boss Matteo Messina Denaro, dopo il suo arresto lo scorso 16 gennaio 2023 a seguito di trent’anni di latitanza.

Il boss accoglie la richiesta da parte dei Procuratori di rispondere a delle domande, chiarendo però un concetto: “ci saranno cose in cui non rispondo, cose in cui rispondo e spiegherò il motivo per cui rispondo e cose che spiegherò il motivo per cui non voglio rispondere”. Sono tanti i dettagli che escono fuori sulla vita del boss.

Tra questi quello di  non essere stato solo a Campobello di Mazara ma da altre parti, durante la sua latitanza. Durante l'interrogatorio, Matteo Messina Denaro spiega anche come avrebbe assunto l’identità di Andrea Bonafede. Secondo la narrazione del boss, il tutto sarebbe iniziato quando ha scoperto di avere un tumore al colon.

"Qua sono nei guai e allora che cosa faccio? Io avevo l’amicizia con Andrea Bonafede, un’amicizia però remota perché suo padre lavorava da noi, da mio padre e poi mio padre era amico di suo zio, lui aveva un altro zio indiziato mafioso condannato per mafia. Allora lo vado a trovare e gli dico, senti – lui nemmeno mi ha riconosciuto all’inizio – sono combinato in questo modo, tu mi puoi aiutare o mi vuoi aiutare? Sto morendo. Lui mi dice, certo che ti aiuto. Allora io dissi, alt però devi sapere a cosa vai incontro perché nel caso in cui a me finisce male anche se muoio tu sarai sempre arrestato perché poi lo capiscono anche da morto che sono io, dice Bonafaede, che fa non ti aiuto? Non riuscirei a dirti no.”

Il boss di Castelvetrano sostiene che Bonafede non avrebbe avuto nulla in cambio. E poi, continua.

“L’ indomani abbiamo preso un appuntamento perché io ci sono andato al posto di lavoro anche perché se ci andavo a casa mi arrestavate perché c’era la telecamera che guardava a casa sua…io sapevo di tutte le telecamere che vi erano a Castelvetrano e Campobello, le conoscevo e avevo chi mi riferiva. Comunque, io avevo bisogno del documento ma non quello suo, farmelo fotocopiare e poi me lo facevo io il documento, l’unica cosa originale invece che volevo era la tessera sanitaria perché la tessera sanitaria io non riuscivo a farla e siccome in ospedale vogliono l’originale allora lui fece la fotocopia e se la tenne lui, tanto gli dissi che se ti bisogna vieni e te la do, io invece avevo continuamente bisogno di sta tessera sanitaria. Poi invece la patente e la tessera li feci io.”

Un interrogatorio, quello del boss, che tocca anche altri aspetti, lungo quasi 70 pagine di elementi su cui gli investigatori sono al lavoro, per accertarne la veridicità.

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