Novità sulla morte di Mario Paciolla

Mario Paciolla, non fu suicidio: inchiesta su un caso ancora aperto

L’inchiesta di Fanpage.it sulla morte del cooperante italiano in Colombia. Le falle e le contraddizioni della tesi del suicidio. Le testimonianze esclusive e le prove che mostrano come Mario sarebbe stato in grave pericolo negli ultimi giorni della sua vita.
A cura di Antonio Musella
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Sono passati quasi 5 anni dalla morte di Mario Paciolla, il cooperante italiano che lavorava per l'ONU in Colombia, trovato senza vita nella sua casa di San Vicente del Caguan il 15 luglio del 2020. Mario lavorava nella missione delle Nazioni Unite che si occupava di monitorare gli accordi di pace tra le forze guerrigliere delle FARC e il governo colombiano. Accordi che prevedevano un percorso di reinserimento nella società per chi consegnava le armi. Le autorità colombiane da subito sentenziarono che si trattò di un suicidio. Ma Mario non aveva alcuna ragione per togliersi la vita. Anzi.

Mario negli ultimi giorni di vita era molto spaventato e stava cercando in tutti i modi di rientrare velocemente in Italia. Proprio il 15 luglio avrebbe dovuto iniziare il viaggio di ritorno, andando prima a Florencia, poi a Bogotà e finalmente in Italia. In questi 5 anni la famiglia e gli amici non si sono mai arresi alla tesi del suicidio, continuando a chiedere con una incessante campagna pubblica, verità e giustizia. La giustizia italiana sta ancora decidendo sul caso: dopo il rigetto da parte del Tribunale di Roma della prima richiesta di archiviazione per suicidio avanzata dai pm della Procura capitolina, ora si sta decidendo sulla seconda richiesta di archiviazione, avanzata sempre dagli stessi magistrati. In questa inchiesta, abbiamo messo in fila tutte le falle, le incongruenze e le contraddizioni della tesi per cui Mario si sarebbe tolto la vita. Grazie a elementi e testimonianze esclusive abbiamo evidenziato come nei suoi ultimi giorni di vita Mario sapesse di essere in grave pericolo. Abbiamo analizzato il contesto in cui lavorava e viveva Mario, un villaggio al centro di una rotta importantissima per il narcotraffico. Proprio in quella regione, il Caquetà, i guerriglieri che non entravano nel percorso degli accordi di pace, finivano per diventare le milizie dei narcos, minacciando e attaccando gli ex guerriglieri che avevano deposto le armi. Un posto molto pericoloso, tra i più caldi della Colombia. Nella nostra inchiesta vi mostriamo perché la morte di Mario Paciolla è un caso ancora aperto.

La ricostruzione della morte: le falle nella versione dei colombiani

Per comprendere come la tesi del suicidio non regga, abbiamo analizzato tutta la ricostruzione messa agli atti del procedimento giudiziario di come Mario si sarebbe tolto la vita. Con l'aiuto di Alessandra Ballerini, l'avvocata della famiglia Paciolla, abbiamo messo in fila tutte gli aspetti della versione data dalle autorità colombiane.

"Secondo la ricostruzione della Procura la notte tra il 14 e il 15 luglio, Mario prende due lenzuola ed un cuscino e va nel patio di casa sua" ci spiega Alessandra Ballerini. "Il cuscino lo mette su un materassino gonfiabile, non sappiamo bene il perché. Poi prende il lenzuolo e inizia a tentare di impiccarsi". Per potersi impiccare Mario deve legare il lenzuolo ad una grata che si trova nel patio della sua abitazione. "Per arrivare alla grata, prende una sedia, ci sale sopra, si mette in punta di piedi, allunga le braccia tesissime, ma a questo punto dalla punta delle dita di Mario alla grata mancherebbero "solo", secondo loro, 9 centimetri e mezzo". Nonostante il corpo di Mario sia in iperestensione mancano più di 9 centimetri per permettergli di far passare il lenzuolo nella grata posta sul soffitto del patio. La versione di come sarebbero andate le cose da qui in poi appare assolutamente singolare. "Mario avrebbe dovuto lanciare il lenzuolo, centrare il buco della grata, far scendere il lenzuolo, fare 7-8 nodi che sono dei nodi da professionista, Mario è andato sul computer fino a poco prima di morire, non c'è nessuna ricerca su come fare dei nodi o su come suicidarsi. Dopo aver fatto tutto questo Mario avrebbe provato ad impiccarsi, si sarebbe però sfilacciato il lenzuolo, rendendo vano il tentativo. A questo punto Mario avrebbe desistito ed avrebbe deciso di tagliarsi le vene" spiega la Ballerini.

Quindi, secondo quello che c'è scritto negli atti giudiziari, dopo il primo tentativo, Mario avrebbe poi provato a suicidarsi in un altro modo, con il taglio delle vene. "Tu cerchi di tagliarti le vene, ma lo fai riempendo due catini di sangue, che sono alla sua destra e alla sua sinistra, però poi solo sulla destra lascia, ordinati minuziosamente, due coltelli e quattro accendini. Messi in fila in maniera precisissima. Soprattutto Mario, che in quel momento è seduto su un materassino gonfiabile, se si taglia prima un polso e poi un altro, avrà un gocciolamento di sangue, sui vestiti, sul suo corpo, ed invece non ci sono assolutamente tracce di sangue sui suoi abiti". Ma nemmeno il taglio delle vene sarebbe andato a buon fine. Quindi Mario, sempre secondo la ricostruzione della Procura, si sarebbe alzato dal materassino. Lo avrebbe fatto però con un colpo di reni, visto che non ci sono impronte e tracce di sangue delle sue mani che indicano che si sia alzato dandosi una spinta con le mani. "Mario a quel punto gocciolerebbe sangue per la casa, andrebbe un attimo al computer, gocciolerebbe sangue vicino al mouse, ma tutto il gocciolamento del sangue nella casa sarebbe metodico. Non ci sarebbe alcun barcollamento, sono gocce precisissime, come se fossero state fatte cadere a posta. E poi non ci sono impronte, né di scarpe, né di piedi scalzi. Quindi Mario starebbe attentissimo a non mettere i piedi sulle gocce di sangue che ha lasciato" sottolinea l'avvocata.

Ma come è possibile che nonostante i tagli ai polsi ed il sangue sgorgante, Mario non abbia lasciato nessuna impronta? In quel momento Mario ha un tendine lesionato e anche la muscolatura del polso lesionata, ha riempito due catini con il suo sangue. Ma anche il secondo tentativo di suicidio sarebbe andato male. Quindi Mario avrebbe tentato per la terza volta il suicidio, questa volta provando ad impiccarsi nuovamente. "Risale sulla sedia, ma anche in questo caso sarebbe salito con un balzo felino, perché non ci sono impronte, sembrerebbe non appoggiare le mani. A questo punto secondo la ricostruzione della Procura rifarebbe tutte le cose fatte nel primo tentativo, quindi lancerebbe il lenzuolo verso la grata da cui lo separano 9 centimetri e mezzo, farebbe scendere il lenzuolo, farebbe 7-8 nodi da professionista, e proverebbe ad impiccarsi. Questa volta, secondo questa versione, sarebbe andata in porto. Solo che la sedia su cui sarebbe salito per impiccarsi, non è a terra, ma è in piedi messa accanto al corpo, e il cadavere di Mario toccava con i piedi a terra" spiega la Ballerini.

La piantina della casa di Mario, presente negli atti giudiziari
La piantina della casa di Mario, presente negli atti giudiziari

La perizia di parte e gli oggetti di Mario Paciolla spariti

È sulla versione che avete appena letto che si basa la tesi del suicidio. Ma a smontare questa ipotesi ci sono anche i rilievi venuti fuori grazie alla perizia di parte del dottor Vittorio Fineschi che ha evidenziato sul corpo di Mario una serie di segni che sarebbero tutt'altro che compatibili con l'ipotesi del suicidio. "Innanzitutto c'è la rottura dell'osso ioide, che è compatibile con lo strangolamento. Il solco che ha Mario è un solco orizzontale e non un solco obliquo, ed il solco orizzontale è molto più compatibile con lo strangolamento che con l'impiccagione. Mario ha delle lesioni al polso sinistro che sono state fatte o post mortem o poco prima di morire. Ma poco prima di morire lui si taglia i polsi, gira la casa, si mette al computer, fa tutte le manovre per la seconda impiccagione. Non ha il tempo materiale per fare tutte queste cose" sottolinea l'avvocata.

Le anomalie non si fermano qui. Sul corpo di Mario sono stati rinvenuti diversi indizi che raccontano di una verità diversa. "Mario è pulitissimo, ma ha una chiazza piuttosto grande di sabbia fine sul gluteo destro, di 8 cm per 8 cm. Chi mette la sabbia fine sul gluteo destro di Mario" si chiede la legale. Nel corpo di Mario che si trova un altro elemento assolutamente anomalo. "E' la lidocaina. Nessuno gliela ha prescritta e non si trova in casa. L'effetto della lidocaina dovrebbe essere quello di un anestetico paralizzante. L'entità della lidocaina che era nel corpo di Mario non è stimabile, perché è una sostanza che viene espulsa velocemente dal corpo umano, e i rilievi sono stati fatti sul corpo che c'è stato restituito molto tardi e in non buone condizioni di conservazione. Chi ha iniettato, chi ha inoculato, chi ha fatto assumere a Mario la lidocaina due ore prima della morte?" si chiede Ballerini.

C'è da sottolineare che anche i reparti Ros e Ris dei Carabinieri hanno svolto indagini in Colombia, e non hanno trovato in nessuna farmacia o struttura simile, presente a San Vicente del Caguan, la lidocaina. Mario aveva una frattura compatibile con lo strangolamento, una macchia di sabbia sul corpo, tracce di anestetico paralizzante nel sangue, dunque.

"Sempre l'autorità giudiziaria colombiana mette agli atti che la relazione esecutiva non mostra i segni dei fluidi sul pavimento, accanto al materassino gonfiabile e sul mouse. Questo perché il mouse è stato prelevato dall'Onu e lavato con acqua e sapone. Secondo l'Onu questo è stato fatto perché se poi doveva essere riconsegnato alla famiglia era meglio riconsegnarlo pulito. Peccato che non sia stato messo mai a disposizione dell'autorità giudiziaria. Lo stesso mouse è stato poi ritrovato mesi dopo negli uffici dell'Onu a Bogotà", precisa l'avvocata della famiglia Paciolla. Ma dalla scena del crimine sono anche scomparsi diversi oggetti. "I catini pieni di sangue e il materassino gonfiabile sono spariti dalla casa di Mario, ma non solo. Mario era un grafomane, annotava tutto, quanti quaderni sono scomparsi di Mario? Chi ha i quaderni di Mario? C'era un quaderno enorme dove prendeva gli appunti, dov'è? Dove si trova? Chi lo ha preso?". Cosa c'era scritto sui quaderni di Mario? Sappiamo che li utilizzava per intervistare gli attivisti sociali e le persone di riferimento dei villaggi in cui operava la sua missione. Perché i quaderni di Mario non si trovano più? Un elemento questo mai evidenziato.

Il contesto: San Vicente del Caguan e le rotte dei narcos

La missione Onu di cui faceva parte Mario Paciolla, che monitorava il rispetto degli accordi di pace tra il governo colombiano e le Farc operava nel piccolo villaggio di San Vicente del Caguan, nella regione del Caquetà nel Sud della Colombia. "E' un villaggio di 10 mila abitanti circa " ci spiega Simone Ferrari, docente dell'università "La Statale" di Milano, ed esperto di Colombia. "E' un importante corridoio per una serie di traffici illeciti, il più importante dei quali è quello della cocaina. E' un posto pericoloso, è una delle regioni più calde della Colombia". Secondo le stime delle agenzie delle Nazioni Unite, nella regione di San Vicente del Caguan viene prodotto il 20% di tutta la cocaina coltivata in Colombia. "Mario si occupava del rispetto degli accordi di pace, in particolar modo della sicurezza dei leader contadini e degli attivisti che lavoravano nel territorio, ed il reintegro alla società civile di persone che appartenevano al gruppo armato delle FARC. Queste persone, in quanto ex guerriglieri, erano costantemente minacciate di morte dagli altri gruppi armati, in quanto considerati dei traditori". Il contesto in cui lavora Mario è quindi assolutamente pericoloso. Su quel territorio da un lato ci sono gli ex guerriglieri che consegnano le armi ed entrano nel progetto di reintegro sociale in cui lavorava Mario. Dall'altro ci sono quelli che non consegnano le armi, che minacciano chi invece ha accettato gli accordi di pace, e che svolgono di fatto il ruolo di milizie armate. Il tutto in un territorio dove gli interessi dei narcotrafficanti sono enormi. Sia per la coltivazione di cocaina nei campi agricoli della regione, sia per il trasporto della stessa verso altre zone, per uscire dal paese, con direzione finale i mercati del Nord America e dell'Europa.

Militari nelle piantagioni di San Vicente del Caguan
Militari nelle piantagioni di San Vicente del Caguan

Gli ultimi giorni di Mario: la paura che cresce e la volontà di fuggire

Gli ultimi giorni di vita di Mario sono un crescendo di preoccupazioni e paure. Il giorno prima della morte, il pericolo sembra essere percepito in maniera evidente anche dai genitori. "A mezzanotte del 14 luglio lui ci scrive un primo messaggio in cui mi dice che deve comprare il biglietto per tornare in Italia" ci racconta Anna Motta, la mamma di Mario. "Mi chiede una carta di credito perché con la sua non riusciva a fare questo biglietto. Me lo chiede insistentemente, mi dice proprio ma come è possibile che non avete una carta di credito. Io gli dico di mandarmi gli estremi che glie lo avrei fatto io e gli avrei mandato tutto tramite messaggio". Mario è ansioso, chiede ai genitori di contattare anche i parenti per riuscire a trovare la carta di credito con cui fare il biglietto. Alla fine, a notte fonda, ci riesce. "Mi mandò un messaggio con scritto solo: risolto. Quello è stato l'ultimo messaggio che ho ricevuto da mio figlio. Stava facendo di tutto per tornare in Italia".

Il giorno dopo, mentre i genitori si preparano per accoglierlo al suo ritorno, arriva invece la terribile notizie. "Il 15 luglio squilla il telefono e si presenta un avvocato dell'Onu – ci racconta Pino Paciolla, il papà di Mario – mi dice che ha una brutta notizia da darmi, che Mario è morto. A quel punto io mi gelo e gli chiedo: ma come è morto? Sentendomi dire queste parole, mia moglie mi strappa il telefono da mano e chiede a questo avvocato dell'Onu cosa sia successo a Mario. Lui risponde che si è suicidato. A quel punto ci dice: è una domanda di rito, volete la restituzione del corpo? E finisce la telefonata. Da quel momento in poi noi non abbiamo avuto più nessun contatto con l'Onu".

da quanto abbiamo ricostruito, negli ultimi 5 giorni di vita di Mario avvengono cose che lo spaventano profondamente. E' dal 9 luglio che cambia completamente il suo atteggiamento. A spiegarlo ai genitori, dopo la morte di Mario, è stata la sua fidanzata, che si è confidata con la mamma di Mario, che lo racconta a Fanpage.it per la prima volta. "Il 9 luglio c'era stata una riunione di lavoro, e proprio in questa riunione probabilmente lui o si sarà esposto o sarà successo qualcosa, noi non lo sappiamo con esattezza. Dopo la riunione del 9 luglio lui decide di ritornare in Italia e ce lo dice. La fidanzata di Mario ci dice che il giorno 10 luglio, Mario si confida con lei e le dice che ha avuto dei problemi, che c'è stato uno scontro al lavoro. L'11 luglio Mario dice alla fidanzata che la deve lasciare, che deve farlo assolutamente e deve immediatamente tornare in Italia. Le chiede di non bloccarlo sui social, perché dopo due o tre mesi lui l'avrebbe ricontattata e avrebbe cercato di farla venire in Italia. La fidanzata mi ha detto che ha avuto l'impressione che Mario volesse proteggerla, perché lei sarebbe dovuta rimanere in Colombia e sarebbe stato pericoloso". M

Anche i messaggi con i genitori evidenziano una paura crescente dal 9 luglio in poi. "Dal 9 luglio Mario stava vivendo un momento non di stress, ma di timore, aveva paura. Non sappiamo di chi o di che cosa, perché noi non conoscevamo lo scenario in cui lavorava Mario" spiega il papà, Pino. Era un ragazzo molto riservato e non parlava mai con fidanzata, genitori, amici, dei dettagli del suo lavoro, mantenendo quella riservatezza richiesta per chi opera nel suo campo in quel tipo di missione. "Io da subito ho capito che lui corresse un grave pericolo – ci dice la mamma – l'11 luglio lui al telefono mi dice di avere problemi con l'organizzazione, che ha avuto delle discussioni, che glie la faranno pagare in qualche modo. Io lo sento così allarmato che dopo gli invio un messaggio e gli chiedo: Mario ma sei in pericolo di vita? L'organizzazione può farti qualcosa? Lui mi risponde: No mamma, non penso".

I genitori capiscono che Mario sta provando a scappare dalla Colombia e che sta fuggendo da un pericolo imminente. "Il 12 luglio, era domenica, noi lo sentiamo al telefono di prima mattina, lui era in pigiama, ci dice che deve ritornare assolutamente in Italia, che non ne vuole più sapere della Colombia e soprattutto non ne vuole più sapere dell'Onu. Nelle videochiamate io lo vedevo estremamente preoccupato, tanto è vero che stava tornando con un volo umanitario". Ma da cosa fuggiva Mario? E soprattutto dava dei segnali che mostravano la possibilità che si volesse togliere la vita? "C'è evidenza in tutto quello che fa che Mario vuole vivere – ci dice Alessandra Ballerini – Mario è vero che è in angoscia, ma lo è perché pensa che qualcuno lo stia mettendo in pericolo, cosa che purtroppo avviene".

Anna Motta, la mamma di Mario Paciolla
Anna Motta, la mamma di Mario Paciolla

La strana riunione del 9 luglio

Da cosa stia fuggendo Mario è il tema principale per capire la dinamica degli ultimi giorni di vita. Abbiamo messo insieme fin qui tutte le testimonianze, i messaggi, le telefonate che evidenziavano che Mario aveva paura e che voleva fuggire dalla Colombia rapidamente. Nulla che facesse presagire ad un suicidio, ma sicuramente tanti elementi che mostrano come Mario fosse in pericolo di vita. Il tutto parte dalla riunione del 9 luglio, una riunione online a cui, secondo gli atti in nostro possesso, partecipano la missione Onu in cui lavorava Mario, i funzionari di due ministeri, due agenzie governative, per discutere del progetto che riguardava la comunità di Miravalle, dove gli ex guerriglieri con cui lavorava Mario, avrebbero trovato una nuova casa e un'opportunità di lavoro.

"Secondo gli atti depositati dall'Onu – ci spiega l'avvocata Ballerini – c'è il rapporto della riunione del 9 luglio a cui a preso parte Mario. In questa riunione si parla anche del ritrovamento, che sarebbe avvenuto l'8 luglio, del corpo senza vita di un tesoriere di un villaggio all'interno della giurisdizione di San Vicente del Caguan. Dicono che quando torna da una riunione viene intercettato a pochi metri dalla sua azienda agricola. Non mi sembra una cosa irrilevante visto che dal 10 luglio sappiamo che Mario inizia a sentirsi in pericolo". Il prof. Simone Ferrari ha provato a fare delle ulteriori ricerche sulla morte del tesoriere che si trova negli atti giudiziari. "La morte di questo tesoriere non risulta nei tanti archivi che abbiamo delle morti di leader sociali e persone che rappresentano un ruolo istituzionale nelle comunità. Spesso la missione Onu, nella persona di Mario o di altre persone, recuperava da persone come i tesorieri o leader sociali locali, informazioni su morti che non erano chiare, su morti violente, su morti di persone che erano state minacciate".

Il 9 luglio quindi si sarebbe parlato dell'omicidio di un tesoriere di un villaggio, la cui morte non risulterebbe però negli archivi. Ma in quella riunione c'è anche una presenza inspiegabile, quella dell'UNODC, United Nation Office Drugs and Crime, l'agenzia dell'Onu che si occupa del narcotraffico. "L'Unodc è un'agenzia che si occupa di criminalità e della sostituzione delle coltivazioni illecite" spiega il prof. Ferrai. "A San Vicente del Caguan è presente proprio perché è un'importante regione di produzione di cocaina. Non è chiaro perché fosse presente in questa famosa riunione del 9 luglio, per un progetto che non aveva a che vedere in teoria con la questione della criminalità. E' presente nella riunione l'agenzia di sviluppo rurale, che contesta all'Unodc di non aver rispettato gli impegni presi. Cosa dovesse fare l'Unodc sul territorio resta un mistero, in questo progetto specifico. Mario sicuramente poteva avere accesso a informazioni riservate, spesso queste informazioni sono recuperate grazie all'iniziativa personale del singolo cooperante, piuttosto che su indicazione dei vertici della missione". Morti sospette, informazioni riservate, la presenza dell'agenzia dell'Onu che combatte il narcotraffico ad una riunione in cui sulla carta, non avrebbe alcuna competenza. Se la tesi del suicidio ha delle enormi falle, se la paura di Mario per la propria vita è emersa dalle testimonianze e dai messaggi, è in quella riunione del 9 luglio che va individuato l'effetto scatenante che ha portato alla morte di Mario.

Il murales di Mario Paciolla realizzato a Napoli sulla facciata della sua scuola, il Liceo "Vittorini"
Il murales di Mario Paciolla realizzato a Napoli sulla facciata della sua scuola, il Liceo "Vittorini"

L'oscuro agente della sicurezza: Christian Thompson

Ma è a questo punto della storia che diventa fondamentale la figura di Christian Thompson, al tempo funzionario del DSS il servizio di sicurezza della missione Onu in cui lavorava Mario Paciolla. "Era il capo della sicurezza a San Vicente del Caguan – spiega Ferrari – il suo profilo è molto ambiguo. E' un militare di professione e di formazione, ha lavorato per diverse compagnie private nel settore energetico, in cui era incaricato di gestire anche le opposizioni da parte delle popolazione locali, ad esempio. E' sostanzialmente il profilo di un mercenario, un mercenario della sicurezza". Thompson era entrato nella missione Onu con il compito di garantire la sicurezza in una fase antecedente a quella di Mario Paciolla. La prima missione Onu sugli accordi di pace prevedeva la consegna delle armi da parte dei guerriglieri delle Farc. Ed è in quella fase che Thompson, che secondo alcune fonti colombiane in passato aveva collaborato anche con i servizi segreti militari, inizia a lavorare per l'Onu. Nella seconda fase, quella in cui viene assunto Mario Paciolla, bisognava occuparsi del reintegro delle persone. È evidente che tra cooperanti e militari ci possano essere degli approcci e dei metodi di lavoro talvolta molto diversi.

"Thompson si trova sul luogo del delitto per tre volte" ci dice Alessandra Ballerini. "Il 15 luglio, poi torna il giorno dopo, e poi torna il 17 luglio con una squadra di pulizia per pulire tutta la casa con la candeggina". Sarà proprio Thompson, come da lui stesso ammesso, a far sparire i catini pieni di sangue e il materassino gonfiabile dalla casa di Mario. "Ha portato tutto in discarica senza essere minimamente autorizzato a farlo – sottolinea l'avvocata – peraltro c'è un protocollo, che l'Onu conosce bene, in caso di ipotesi di reato che non è stato rispettato minimamente. Thompson altera completamente la scena dove, dal nostro punto di vista, è avvenuto un omicidio". Nella discarica dove Thompson portò i catini pieni di sangue ed il materassino gonfiabile dalla casa di Mario, quando si andarono a fare le ricerche non fu trovato più nulla. È Thompson che si reca a casa di Mario, con una sua collega, e scopre il corpo di Mario. Passano oltre 35 minuti dall'arrivo di Thompson a casa di Mario il 15 luglio e la sua chiamata alla polizia. Ma perché era lì? Quello che dichiarerà all'autorità giudiziaria è che Mario gli aveva dato appuntamento alle ore 9:00 per accompagnarlo a prendere l'aereo che avrebbe dovuto riportarlo in Italia.

"Mario la sera del 14 luglio scambia dei messaggi con Thompson – ricostruisce la Ballerini – in un primo messaggio Thompson scrive a Mario: Domani passiamo a prenderti alle 9 a casa tua. Ma a questo messaggio Mario risponde: Ciao Christian scusa, ma non ho capito. Quindi Mario non si aspettava di essere contattato da Thompson. La risposta del funzionario della sicurezza dell'Onu al messaggio di Mario è: Andiamo domani a Florencia insieme no? Per qualsiasi cosa di cui hai bisogno conta pure su di me. Ma a questo messaggio Mario non risponde. Quindi noi dalla messaggistica agli atti non abbiamo alcuna prova che Thompson avesse appuntamento con Mario il 15 luglio". Ma non solo non ci sarebbe prova dell'appuntamento preso da Mario con Thompson, ma il cooperante italiano aveva paura del funzionario della sicurezza, come aveva confidato alla ex fidanzata negli ultimi giorni di vita. "La ex fidanzata riferisce agli investigatori che Mario le avrebbe detto che non si fidava di alcune persone e che avrebbe dovuto lasciare la Colombia – racconta l'avvocata della famiglia Paciolla – la ex fidanzata riferisce agli atti, quindi è un virgolettato: Gli ho chiesto se era qualcuno del DSS, il dipartimento di sicurezza delle Nazioni Unite. Mi ha risposto: Esattamente, c'è una persona nella squadra colombiana…Thompson". A questa deposizione gli investigatori colombiani annotano che: "Si fa presente che all'epoca dei fatti l'unica persona appartenente al DSS a San Vicente del Caguan era il signor Christian Thompson".

Pino Paciolla, il papà di Mario
Pino Paciolla, il papà di Mario

Un caso ancora aperto

Quello che succede dopo la morte di Mario Paciolla ci restituisce nuovi elementi che ci allontanano molto dalla logica conseguenza di un suicidio e ci conducono, ancora una volta, su uno scenario ben diverso. "Dopo la morte di Mario – ci dice il prof. Ferrari – il centro di Miravalle in cui lavorava Mario Paciolla, inizia a denunciare alcune minacce dei gruppi armati che operano nel territorio. Minacce che portano il governo colombiano a spostare il centro di Miravalle in un'altra regione. La missione di San Vicente del Caguan, dopo la morte di Mario, ha un'innalzamento del livello di pericolosità secondo le scale dell'Onu, passando dal livello C al livello D, che è quasi il massimo, è il quarto di cinque livelli. Sicuramente un aumento del livello di pericolosità della missione non avviene per un caso di suicidio, può avvenire per un caso di morte violenta, per un rischio della vita dei dipendenti della missione" . Le persone con cui Mario lavorava ricevono continue minacce di morte tanto da essere spostate altrove. La missione aumenta il livello di pericolosità. Tutti elementi che non si attuano per un semplice suicidio. Ma ancora di più fa riflettere la sorte di Christian Thompson, che fa carriera nelle Nazioni Unite. "Dopo la morte di Mario viene promosso, viene spostato a Bogotà dove ci sono i piani alti della missione Onu" ci racconta Ferrari.

Negli ultimi 5 anni la famiglia di Mario ed i suoi amici hanno continuato a chiedere verità e giustizia. Sono moltissimi, come vi abbiamo mostrato, i dubbi e le perplessità sulla tesi del suicidio. Diverse le domande rimaste senza risposta: di cosa aveva paura Mario? Chi ha preso i suoi quaderni? C'è un legame tra la riunione del 9 luglio e la sua morte? E soprattutto: Mario Paciolla si sarebbe mai tolto la vita?

"Mio figlio non si sarebbe mai suicidato – ci dice il papà – non era nelle sue corde e nel suo animo. Uno che dona la sua vita per gli altri, non penserà mai di togliersela".  Per Pino e Anna questi anni sono diventati una battaglia determinata per chiedere verità e giustizia. "Questo nostro impegno è diventato anche un impegno civile – ci dice Anna – perché noi vogliamo che lui sia ancora vivo. Noi partecipiamo a cose, iniziative, manifestazioni, a cui lui avrebbe partecipato, ed abbiamo deciso di fare questa cosa per portare lui stesso ma anche la sua memoria. Quando io guardo il mare, lo guardo intensamente, perché Mario era un amante del mare ed ho deciso di farglielo guardare attraverso i miei occhi".

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