Le accuse di Sollecito da Fedez: “Tanti errori sul caso Meredith, sperma sul cuscino mai analizzato”

Il crime, in Italia, non va mai in vacanza. E mentre l’attenzione pubblica si concentra nuovamente su Garlasco, Alberto Stasi e le ultime novità del caso Poggi, Fedez rilancia uno dei casi più discussi della cronaca nera italiana: l’omicidio di Meredith Kercher. Lo fa attraverso la puntata 25 di Pulp Podcast, ospitando Raffaele Sollecito e l’avvocata Francesca Florio per una lunga intervista che riapre ferite mai del tutto rimarginate.
Sollecito, originario di Giovinazzo, racconta con voce ferma ma ancora segnata la spirale che lo ha inghiottito a partire da quella notte del 6 novembre 2007, quando si ritrovò catapultato da studente universitario prossimo alla laurea ad accusato di uno dei delitti più efferati del Paese. “La sera prima avevo preparato la mia tesi. Il giorno dopo l'avrei dovuta discutere. Invece sono finito in questura, e da lì è cambiato tutto”, racconta.
Accusato assieme ad Amanda Knox dell’omicidio della studentessa inglese, Sollecito ha passato quattro anni in carcere, prima a Perugia e poi nella sezione protetti di Terni. Il caso si complica ulteriormente con l’ingresso in scena di Rudy Guede, cittadino ivoriano, il cui DNA viene rinvenuto su numerosi reperti sulla scena del crimine. È l’unico dei tre a essere condannato in via definitiva, a 16 anni con rito abbreviato. Ma per la procura non basta: secondo l’accusa, Guede non avrebbe agito da solo, e Amanda e Raffaele sarebbero stati suoi complici in un presunto gioco erotico degenerato.
Meredith era stata trovata nuda, con un profondo taglio alla gola, avvolta in un piumone. Sul cuscino ci sono tracce di liquido seminale.
“Se si fosse analizzato quel campione di sperma trovato sul cuscino, si sarebbe potuto chiudere tutto fin da subito. Ma dissero che era ‘vecchio’ e non lo verificarono mai. Se fosse risultato di Guede, la nostra posizione sarebbe stata completamente diversa”, osserva Sollecito a Pulp Podcast.
L'interrogatorio che cambia il suo destino si svolse dopo che Sollecito aveva fumato uno spinello:
“Faticavo a ricordare i dettagli della sera precedente, ed ero stato sentito senza avvocato. Anche Amanda è crollata dopo ore di pressioni, al punto da coinvolgere un innocente, Patrick Lumumba, spinta da una poliziotta che si dichiarava medium” dice a Fedez.
Sollecito ammette: "Una serie di catastrofici eventi – aggiunge Sollecito – di ingenuità da parte mia e di Amanda sono collassati contro di noi, lei perché aveva alti e bassi, io, poco prima di essere interrogato, avevo fumato un po’ di erba".
Non mancarono errori nelle perizie scientifiche e nei rilievi. Uno su tutti: l’impronta insanguinata compatibile con una suola da Nike, che coinciderebbe con le scarpe di Sollecito. “Ma non verificarono nemmeno la misura. Erano troppo concentrati a cercare conferme alle loro ipotesi”, accusa. “Nel 2007 la polizia scientifica non era obbligata a seguire protocolli internazionali. C’era un’improvvisazione spaventosa" aggiunge. E ancora: "Un errore del magistrato è stato quello di accettare la richiesta di Guede di avere il rito abbreviato, perché io e Amanda volevamo dibattere le prove" spiega Sollecito.

Nel 2011 la sentenza di assoluzione: la Corte d’Appello smonta il castello accusatorio e riconosce l’assenza di prove certe. Anche se solo nel 2014 arriverà il verdetto definitivo, quando Raffaele e Amanda saranno stati assolti in via definitiva.
Ma la libertà non coincide con la serenità.
“Uscito dal carcere, avevo paura anche solo a tornare in mezzo alla gente. Mi fissavano ovunque. Una volta, a Milano, ho salutato una ragazza e lei si è messa a piangere. Con i suoi amici si è sfiorata la rissa. Queste ferite restano.”
Il marchio d’infamia, ammette, è difficile da scrollarsi di dosso. Neanche la scrittura lo ha aiutato a difendersi. “Scrivevo un diario in cella. Il giorno dopo una perquisizione, è finito sui giornali. Lì ho capito che tutto ciò che dicevo o facevo era destinato a diventare spettacolo”. In un altro episodio umiliante, racconta, fu costretto a spogliarsi e subire un prelievo di peli pubici con il pretesto di analisi che non furono mai effettuate: “Erano inutili senza il bulbo, lo sapevano. Ma serviva per umiliarmi”.

Oggi, più che cercare vendetta, Sollecito sembra voler dare un senso all’abisso attraversato.
“Ho visto una parte dell’umanità che in pochi conoscono. Non è composta da scarti della società, ma dallo specchio di quello che siamo. Il carcere ti rivela chi siamo davvero come Paese”.
Oltre all’ingiusta detenzione, anche il danno beffardo: nessun risarcimento. “Lo Stato non mi ha riconosciuto nulla. Eppure ho perso anni della mia vita, la reputazione e la libertà.” Mentre molti oggi si chiedono se anche per Alberto Stasi possa esserci una svolta alla luce delle ultime novità, Sollecito lancia un monito chiaro:
"Diffidiamo della caciara. Le urla non fanno giustizia. E spesso, nel clamore, le verità più semplici vengono sepolte”.