Laura, in consultorio per un aborto: “Il medico mi ha detto che era cattolico e io stavo uccidendo una persona”

"Qualcuno dovrà pur pensare a questa persona che tu stai uccidendo?". In Italia il diritto all’aborto esiste dal 1978, eppure ancora oggi, a distanza di quasi 50 anni, se una donna decide di rivolgersi a un consultorio per sottoporsi a un'interruzione volontaria di gravidanza (IVG) rischia di sentirsi trattata "come un'assassina".
È così che si è sentita Laura (usiamo un nome di fantasia), una donna di 39 anni che qualche settimana fa si è rivolta a un consultorio in Campania per sottoporsi all'IVG. In quel momento era alla quarta settimana di gestazione e in base a quanto stabilito dalla legge avrebbe avuto diritto all'IVG farmacologica, senza sentirsi giudicata o accusata. Ma non è stato così. A Fanpage.it ha raccontato la sua storia.
La storia di Laura
"Non avevo preso questa decisione a cuor leggero, ma ero convinta della mia scelta – racconta Laura – così ho deciso di rivolgermi a un consultorio distante dal mio paese per avere maggiore privacy. Non mi aspettavo minimamente quello che sarebbe successo". Laura si presenta al consultorio e spiega la sua situazione.
Tutto procede come prevede la prassi: viene aperta la cartella a suo nome e dopo qualche minuto è dentro lo studio del medico che l'avrebbe visitata. Le cose prendono subito una direzione inaspettata. "Appena entro il medico mi chiede: ‘Tu sei cattolica?". Quando io gli rispondo di no, lui replica che invece lo è. Da lì ho capito subito come sarebbe andata a finire".
Il diritto a non essere giudicata
"Non credo sia un'informazione rilevante", Laura prova a difendersi, ma ogni tentativo di far valere il proprio diritto a non essere giudicata si rivela vano. "Sì invece lo è eccome, perché qualcuno dovrà pur prendere le difese di questa persona che tu stai per uccidere. Lo sai che questa persona potrebbe diventare qualcuno un giorno. Cosa ne possiamo sapere?". Fino all'ottava settimana di gestazione, da un punto di vista scientifico il termine corretto è "embrione", dopo si usa la parola "feto", nonostante ciò medico e assistente continuano a usare la parola "persona".
"Me lo ha detto – ricorda Laura – con un'arroganza e una freddezza che mi ha lasciato senza parole. Ho provato a difendermi, a dire che ero una donna di 40 anni sicura della sua decisione. Ma lui, insieme alla sua assistente, continuavano a fare leva sui sensi di colpa che già mi portavo dietro, non perché non fossi sicura della mia scelta, ma perché è stata comunque una decisione difficile: era qualcosa che non avrei mai voluto fare nella mia vita". Alla fine dice a Laura che se è davvero convinta allora dovrà visitarla prima di rilasciarle il certificato.
Per ricorrere all'IVG una donna ha bisogno infatti di un certificato medico che attesti la gravidanza e la sua richiesta. Questo certificato può essere rilasciato da un medico di base, un ginecologo di fiducia o un consultorio familiare: dopo un colloquio in cui fornisce alla donna tutte le informazioni necessarie, rilascia il certificato. Da quel momento in poi devono trascorrere sette giorni (periodo di riflessione) prima che la donna possa rivolgersi a una struttura ospedaliera.
Obbligata a vedere l'embrione
"Mi ha detto spogliati e mettiti sulla sedia. Io in quel momento mi sentivo come se fossi in trance, non sono riuscita a dire o a chiedere nulla. Anche se non voglio paragonare le cose, ora capisco cosa intendono le persone quando dicono che in certe situazioni a volte non si riesce nemmeno a reagire".
Nonostante la sensazione di profondo disagio, Laura dice espressamente al medico che non vuole ascoltare l'audio dell'eco: "Lui mi ha risposto che non me lo avrebbe fatto ascoltare solo perché in quella fase avrebbe fatto male al bambino. Poi, improvvisamente con fare brusco mi ha messo il monitor davanti alla faccia e mi ha costretta a vedere, mentre mi diceva le misure dell'embrione".
"Per me è stato terribile. Io avevo chiesto di non vedere né sentire nulla perché essendo già mamma so bene quanto possa essere bella la maternità se ci sono i presupposti. Ma non riuscivo a dire nulla, perché sentivo che ero io la cattiva, fino a quando, dato che lui continuava a parlare in quel modo lasciandomi lì su quella sedia, gli ho urlato di smetterla".
Una donna che chiede IVG deve ascoltare il battito dell'embrione?
In Italia la visita ginecologica è obbligatoria prima di un'IVG per accertare l'età gestazionale ed escludere eventuali controindicazioni alla procedura. Tuttavia, la donna non è obbligata a vedere l’embrione né ad ascoltarne il battito cardiaco durante questa visita. Lo specificano chiaramente anche le "Indicazioni operative per l’offerta IVG farmacologica" dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS) del 2023: "Le informazioni devono essere fornite in modo comprensibile e rispettoso della decisione e le esigenze individuali della donna". Inoltre viene espressamente raccomandato al personale medico e sanitario di "evitare atteggiamenti stigmatizzanti o giudicanti".
Le cose non cambiano nel caso di un medico obiettore di coscienza, anche qualora presti servizio in un consultorio: In Italia l'obiezione di coscienza è riconosciuta dall'articolo 9 della legge 194/1978, ma riguarda solo le procedure di interruzione di gravidanza e non l’assistenza alla paziente precedente o successiva. Questo significa che il medico obiettore può rifiutarsi di eseguire un aborto – sempre se la vita della donna non è a rischio – ma non può rifiutarsi in nessun caso di fare una visita o prestare assistenza a una paziente.
"Alla fine – racconta Laura – mi dà il certificato dicendomi che avrei dovuto aspettare sette giorni prima di rivolgermi all'ospedale. Ho provato a chiedere se era proprio necessario, ma lui ha replicato che se ero così sicura della mia scelta non avrei dovuto avere problemi ad aspettare. Ho preso quel certificato e sono scappata via".
"Mi hanno trattata da assassina"
"Mi hanno trattata come un'assassina e alla fine mi ci sono sentita davvero. Poi, quando ho realizzato e mi sono riconnessa con la mia vita e con le motivazioni per cui sono arrivata a prendere questa decisione, mi sono arrabbiata tantissimo. Ho pensato che lì al mio posto avrebbe potuto una madre in condizioni difficili o una ragazzina. Un'esperienza simile avrebbe potuto rovinargli la vita".
Fortunatamente nella struttura ospedaliera a cui alla fine si è rivolta per effettuare l'IGV, Laura ha trovato una situazione molto diversa: "Alla fine ho trovato dei medici professionali e rispettosi della mia scelta. Mi hanno trattata come una paziente e non come un'assassina". "Ma anche questo – aggiunge – mi fa riflettere: quando si parla di IVG, ogni consultorio, ogni ospedale è a sé. È davvero terra di nessuno. Ma è possibile che valiamo così poco?".