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Covid 19

L’allarme dei servizi segreti: “In Italia il 50% in più di positivi. Caos causato dai tamponi rapidi”

Un dossier dei servizi segreti presentato al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte rivela che i numeri reali dell’epidemia in Italia sarebbero decisamente più alti di quelli ufficiali comunicati nei bollettini quotidiani: “Osservando le terapie intensive nella parte finale dell’anno, si può dedurre che vi è stata una fase di ripresa dell’epidemia verso metà dicembre. Una ripresa che non è stata rilevata né tracciata dai numeri nazionali a causa dei pochi test effettuati in quel periodo”.
A cura di Davide Falcioni
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Le cifre ufficiali dei contagi che vengono diffuse ogni giorno dal Ministero della Salute sarebbero sottostimate del 50 per cento: i nuovi positivi, infatti, sarebbero in realtà molti di più di quelli comunicati. A rivelarlo è un dossier dei servizi segreti presentato al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte secondo cui i numeri reali dell'epidemia in Italia sarebbero decisamente più alti di quelli ufficiali. Il dossier ricorda infatti che tra la metà di novembre e la fine di dicembre del 2020 è stato registrato un calo dei test a cui tuttavia non è corrisposto quello dei decessi e dei ricoveri in terapia intensiva. Secondo la nota dell'intelligence "osservando le terapie intensive nella parte finale dell’anno, si può dedurre che vi è stata una fase di ripresa dell’epidemia verso metà dicembre. Una ripresa che non è stata rilevata né tracciata dai numeri nazionali a causa dei pochi test effettuati in quel periodo". Secondo i servizi, quindi, il numero dei pazienti che rischiano la vita nei reparti di terapia intensiva non solo non è diminuito come ci si attendeva ma è rimasto stabile, e questo nonostante i bollettini ufficiali riferissero un calo dei nuovi positivi.

Come è stato possibile? Niente di segreto o misterioso: si trovavano molti meno positivi perché se ne cercavano meno. Nella settimana tra l’11 e il 17 novembre, ad esempio, vennero eseguiti un milione e mezzo di tamponi un record ai tempi. Il picco venne toccato il 19 novembre con 3,6 test ogni mille abitanti. Da quel momento in poi, però, il numero dei temponi è iniziato a scendere arrivando agli 868mila della settimana tra il 23 e il 29 dicembre. A metà gennaio, grazie all'inserimento dei test rapidi nel conteggio, c’è stata una nuova impennata dei tamponi. L'introduzione dei test antigenici – avvenuta il 15 gennaio – ha secondo i servizi segreti "reso impossibile un confronto con le serie storiche passate. Alcune Regioni, inoltre, non fanno distinzione tra il molecolare e il rapido, è ciò ha evidenti ripercussioni sul calcolo di tutti i valori, tra cui il rapporto positivi/tamponi". Per ovviare a questo pasticcio statistico quindi sarebbe necessario togliere dal calcolo i test rapidi e quelli effettuati per confermare la guarigione dei pazienti. "Sono solo i tamponi di prima diagnosi a fotografare la reale situazione epidemiologica, e a partire da metà novembre abbiamo visto un brusco calo di questa tipologia".

Cala il rapporto positivi/tamponi: "merito" dei test rapidi, che stanno sostituendo i molecolari

In una circolare diramata il 9 gennaio il direttore della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, ha reso noto che dal 15 del mese anche i test antigenici (ovvero i cosiddetti "tamponi rapidi") sarebbero stati inseriti nel bollettino quotidiano insieme a quelli molecolari: "Gli esiti dei test antigenici rapidi o dei test RT-PCR, anche se effettuati da laboratori, strutture e professionisti privati accreditati dalle Regioni – si leggeva nella circolare – devono essere inseriti nel sistema informativo regionale di riferimento". Nel documento si rileva come questi test sembrano mostrare risultati "sovrapponibili" ai molecolari, soprattutto se utilizzati entro la prima settimana di infezione, e sulla base dei dati al momento disponibili risultano essere "una valida alternativa alla RT-PCR (i test molecolari, ndr)".

Come rivela tuttavia un'accurata analisi pubblicata su Quotidiano Sanità dall'introduzione nei bollettini dei test rapidi la percentuale di positivi/tamponi complessiva (molecolari più antigenici rapidi) è scesa di molto, "e questo proprio al computo di ulteriori 1.355.264 tamponi rapidi (dato aggiornato al 27 gennaio) da cui sono emerse solo 12.634 positività, appena lo 0,9% rispetto all'8,2% di positività riscontrabile ad oggi sul totale dei 30.255.759 test molecolari effettuati sempre fino ad oggi". Lo studio tuttavia aggiunge che il basso tasso di positività con gli antigenici è anche "dovuto al fatto che ben 8 Regioni non hanno reso noti i loro dati sui risultati di questi test e infatti dal 15 gennaio la loro colonnina corrispondente indica un bel 0". A ciò si deve sommare la grande variabilità nei tassi di positività degli antigenici. Nelle Regioni che indicano il dato si passa infatti da un tasso di positività dell'11% nella pa di Trento allo 0,02% della Sardegna, con valori molto diversi da un territorio all'altro: Friuli Venezia Giulia, 6,9%; Bolzano 5,5%; Campania 5,4%; Puglia, 2; Piemonte e Lombardia 1%; Veneto 0,5%; Lazio 0,4%; Calabria 0,2%; Toscana 0,1% ed Emilia Romagna 0,05%. Insomma, se il rapporto tra positivi e numero di tamponi è diminuito la responsabilità potrebbe essere proprio dell'aumento dei test rapidi, molto meno affidabili di quelli molecolari.

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