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La solidarietà silenziosa della Cascina che salva i senzatetto: “Qui si riparano persone”

A Fiano, in provincia di Torino, la Cascina Solidale Marchesa si occupa di ospitare persone senza casa e senza lavoro, cercando di recuperarle alla vita con l’aiuto reciproco e la solidarietà degli ospiti tra loro. A causa dell’emergenza Coronavirus, molti senzatetto ricoverati per lievi problemi mentali e di salute sono stati costretti ad abbandonare i reparti per fare posto ai pazienti Covid. La cascina li ha accolti e le loro storie di dolore e di disperazione raccontano della solidarietà reale, che si fa con il tempo, con la compagnia e non solo con il denaro.
A cura di Gianluca Orrù
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Luigi Ronzulli, fondatore della Cascina Solidale Marchesa, mi spiega con semplicità la ragione d'essere di questo luogo speciale. "Abbiamo cominciato a ricevere – mi racconta – continue richieste d'aiuto da parte di persone in gravissima difficoltà, dimesse dai reparti ospedalieri in cui erano ricoverate per problemi molto lievi a causa del Covid. Qui hanno trovato, anche grazie alla disponibilità di altri ospiti della cascina, la possibilità di trovare una quotidianità, una compagnia e una presenza di persone e di affetto che li riporta alla vita".

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Luigi Ronzulli, infermiere, non è nuovo a queste iniziative di solidarietà e l'ho conosciuto per la prima volta quando mi ha aperto le porte della Casa dei Padri Separati, l'unica a Torino ad occuparsi di padri in emergenza abitativa. Anche questa Cascina è sostenuta da privati e con un contributo della Città di Torino.

Ho parlato con Carlo (nome di fantasia), un passato da senzatetto anche lui, che ha trovato nella Cascina una missione esistenziale, in grado di riportarlo indietro da un baratro di parole non dette, di promesse non mantenute e di vita in mezzo alla strada.

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"Questo luogo – mi ha spiegato – mi consente di darmi agli altri, di aiutarli, mettendomi alle spalle tutti i problemi organizzativi e pratici che comporta la vita. Qui posso solo concentrarmi ad aiutare gli altri e questo mi basta. Adesso questo è un posto che ripara le persone, in futuro sarà una stampella momentanea per chi è in difficoltà"

Proprio la metafora della stampella mi aiuta a capire perchè la Cascina Solidale, invece che una eccellente idea di un gruppo di volontari, non sia un progetto nazionale e applicato con costanza in tutto il paese per il recupero di persone spezzate, come le definisce Carlo.

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"Questi luoghi – mi conferma Luigi Ronzulli – sono nati perchè le leggi dello Stato hanno dei vuoti tra un momento e l'altro del percorso di recupero di una persona. Prendiamo ad esempio il reddito di cittadinanza, che aiuta chi non ha nulla. Se non hai un domicilio non puoi riceverlo. Qui, oltre alle altre cose, diamo un domicilio a chi non ce l'ha, consentendogli l'accesso al Reddito di Cittadinanza".

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Magari bastassero i soldi. Non riesco che pensare a questo mentre mi scorrono di fronte agli occhi le immagini di queste vite compromesse, che tentano la salita della difficile china del recupero alla normalità. Come la vita di Osvaldo, 65 anni, che ha passato molto tempo tra dormitori e problemi di alcolismo che in ultimo lo avevano condotto a vivere in ospedale. Il Covid lo ha spinto fuori ed è stato accolto qui, ma la strada ha lasciato un segno indelebile sulla sua mente, causandogli dei lievi problemi alla memoria a breve termine. Le sue due figlie non lo vengono a trovare, forse non sanno nemmeno dove sia, e qui alla Cascina ha trovato una regolarità che lo aiuta a ritrovare la sua dignità, a dargli (per usare le parole di Luigi Ronzulli) un "motivo per alzarsi dal letto la mattina".

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