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Opinioni

La simmetria fra Agcom ed i pirati

Dopo l’approvazione del Regolamento Agcom torna utile citare Manzoni: da una parte le trombe dei detentori del copyright, dall’altra quelle dei pirati del web che usano la libertà di espressione per propri fini.
A cura di Massimo Mantellini
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Come forse si poteva prevedere, l’entrata in vigore del Regolamento Agcom per la tutela del diritto d’autore ha scatenato i peggiori istinti. Così oggi sarà forse possibile individuare una sorta di deprecabile simmetria: da un lato la decisione dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni di scendere in campo inventandosi un ruolo poliziesco che davvero non le compete, dall’altro, ogni volta che il tema della pirateria online porta al pettine qualcuno dei suoi tanti nodi, il trionfo della banale difesa del pirata in questo portatore a prescindere dei valori della libertà di espressione del pianeta.

E nonostante la questione sia chiara e limpida come acqua di fonte il Regolamento Agcom è un’ottima scusa per mostrare muscoli, ripetere luoghi comuni e mimetizzare le proprie miserie dietro grandi o piccole discese in campo. Sia dalla destra del Regolamento come dalla sua sinistra, la simmetria domina lo scenario e ricorda l’esempio citato da Italo Calvino nelle Lezioni Americane.

S’ode a destra uno squillo di trombe, a sinistra risponde uno squillo.

Lo diceva Alessandro Manzoni lo potremmo indegnamente ripetere noi oggi a commento di questa vicenda.

Chiara e limpida simmetria, si diceva. Da un lato lo scalpitare inconcludente dell’industria dei contenuti che da almeno un decennio ripropone in mille salse differenti il medesimo piano: saltare l’ingombrante impiccio della magistratura per farsi giustizia da sola. Prendere i pirati, in qualche maniera, e ridurli a più miti consigli. Si tratta in fondo di una piccola e personale idea di autodifesa che, osservata da differente distanza, assomiglia anche ad una altrettanto piccola legge del taglione. Io sono la parte lesa, visto che gli altri non fanno nulla, io ti punisco.

Le hanno provate tutte in questi anni, non solo in Italia (basti pensare al defunto progetto Hadopi in Francia) ma sempre e comunque è arrivato qualcosa o qualcuno sul più bello a mettere i bastoni fra le ruote. Una legge dello Stato, un articolo della Costituzione, un tribunale amministrativo, un governo leggermente meno reazionario del precedente. La presa in carico dell’affaire pirateria, vecchio sogno di vecchi industriali dei contenuti, in una maniera o nell’altra, si è sempre alla fine arenato da qualche parte.

Il Regolamento Agcom è stato alla fine l’unico compromesso possibile: si individua una Autorità che non conta quasi nulla, la si investe di improbabili poteri inventati appositamente, si condisce il tutto con una tonnellata di chiacchiere su come, oltre a reprimere i reprobi, si educheranno i cittadini verso l’offerta legale ed il gioco è fatto. Il meccanismo in fondo ha i suoi vantaggi: la politica ufficialmente se ne lava le mani, gli industriali oliano la propria macchina burocratica di minaccia agli ISP (prendersela direttamente con i singoli pirati era un sogno troppo bello e troppo distante) e il concetto principale che andrebbe affrontato su un simile tema viene ancora una volta strategicamente ignorato: qual è il confine fra pirateria e condivisione? Chi è il pirata? Il ragazzino che condivide l’mp3 con i compagni di classe o chi mette in piedi un’attività lucrosa alle spalle dei contenuti delle major? Temi importanti, degni di una discussione civile che nessuno vuole affrontare per proprie evidenti ragioni.

Ma se a destra si ode lo squillo di trombe di Agcom, felice di improvvisarsi cavalier servente degli industriali dei contenuti, da sinistra risponde uno squillo altrettanto imbarazzante. Quello dei tanti furbetti del quartierino Internet che associano simili iniziativi ad una vasta lesione di diritti fondamentali. Quasi sempre i propri.

Eppure anche osservata da questo lato la simmetria è chiara e semplice. Esiste una normativa sul diritto d’autore, vecchia ridicola e da riformare quanto volete, ma ugualmente vigente. Dentro un simile schema di realtà gestire un sito web guadagnando denaro alle spalle dei detentori di copyright non è “fornire un servizio”, non è esattamente una attività di cui andare fieri appellandosi alla rinfusa a parole come libertà di espressione e simili. Per dirla meglio è un reato che occorrerebbe evitare e che anche nel mondo perfetto di domani dovrà essere punito.

Perché accanto alla retorica bislacca di Agcom e dei detentori dei diritti, per i quali ogni utilizzo delle opere dell’ingegno mediato da Internet costituisce una lesione gravissima da lavare col sangue, ne esiste un’altra, certo più piccola e con molti meno mezzi, ma altrettanto deprecabile di quelli che, per fiera opposizione al copyright, provano per l’intanto a guadagnarci qualche soldo trincerandosi dietro la grande, sacrosanta anarchia del web che non si può bloccare.

Questioni di simmetria. S’ode a destra uno squillo di trombe. A sinistra risponde uno squillo.

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Massimo Mantellini da oltre un decennio scrive di internet e di tecnologia sul web e sulla carta stampata, trattando in particolare i temi del diritto all'accesso, della tutela della privacy e della politica delle reti. Editorialista di Punto Informatico fin dalla sua nascita, nel 1996, collabora con L'Espresso. Dal 2001 cura un blog personale, Manteblog
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