
Ne avevo lette molte in questi mesi. La Global Sumud Flotilla descritta come un gruppo di scappati di casa, o composta da politicanti ideologici, finanche terroristi. E ancora: incapaci, drogati di dopamina, amanti del rischio, pagliacci, armata brancaleone, radical chic, croceristi, fighetti in barca a vela e sostanzialmente una massa di stupidi. E sono andato a memoria, scrivendo solo i primi insulti che ho letto.
Per questo ho raggiunto il porto di Augusta sette giorni fa, prima ancora di sapere se mi sarei davvero imbarcato: prima di tutto volevo capire, parlando con le persone.
Così ho trascorso i primi giorni a terra chiacchierando con le persone che poi si sarebbero imbarcate in questa missione umanitaria, sulle barche della Global Sumud Flotilla.
Qui di seguito cinque delle loro storie, rappresentative di loro stessi e di loro stesse, ma in fondo anche di tutto il movimento.
La ragazza a bordo della Taijete: "Mi imbarco per tre differenti motivi"

“Artist against apartheid” è scritto sulla maglietta di una ragazza con i capelli rossi, ricci, a guardarli sembrano delle onde, a proposito del mare. Parla inglese. Si imbarcherà sulla Taijete. Non ha mai avuto dubbi. Si imbarcherà per tre differenti motivazioni, e nel raccontarle mi fa il segno “tre” con le dita. La prima è per usare l’onda lunga della sua voce e della sua fama di fronte alle ingiustizie, dice proprio così: “Io posso e voglio mettermi nel mezzo fra oppresso e oppressore”. E mentre me lo spiega, di nuovo, muove le mani.
Poi continua: “La seconda motivazione è che sono ebrea, e come persona ebrea voglio mostrare di non essere d’accordo – né io né la mia famiglia – con quello che sta accadendo a Gaza e in Palestina. E ci sono per dire che non è giusto usare il nostro nome di ebrei per coprire il genocidio che sta avvenendo. La terza motivazione è che sono americana, e voglio dirlo anche al governo del mio Paese”.
"Sono musicista da vent’anni, questa è l’operazione più diretta nella quale mi sia trovata. Negli ultimi cinque anni ho lavorato organizzando le voci degli artisti, ho cercato di metterle insieme contro le ingiustizie. È questo che ho fatto fino a oggi. Poi sono stata sempre più coinvolta da quello che sta accadendo in Palestina, perché appunto sono ebrea. E quando c’è stata la possibilità di imbarcarmi sono corsa qua".
"Vogliamo portare aiuti, in questi giorni qualcosa sta cambiando"

Ha la mia età, è italiano e ha la barba. Ogni tanto se la tocca. Parte spiegandomi quello che hanno fatto fino a oggi con un gioco di parole: “Abbiamo ‘armato’ le barche, si dice così in gergo. Significa ‘sistemare le barche', renderle adatte alla navigazione. Ed è una parola strana riferita alle nostre barche, perché noi siamo nonviolenti e disarmati. Noi viaggiamo con le mani alzate, le uniche armi che abbiamo sono le cime e dei salvagenti, sperando di non doverli usare. Sperando cioè che non ci buttino in acqua".
"Noi – continua – vogliamo portare aiuti, ci sono scatole con aiuti raccolti da persone come me, non aziende, non ricconi, ognuno ha fatto una spesa normale e l’ha messa insieme alle altre. Siamo gente fatta così. Ti dico una cosa: una parte di me pensa che in questi giorni qualcosa stia cambiando e che alla fine si aprirà il corridoio per sbarcare gli aiuti. Mi dicono ‘romantico’ come fosse una condanna, ma perché? Sarebbe la cosa più giusta. Lo vedi anche tu quante persone stanno scendendo in piazza, in tutta Italia e in tutto il mondo: centinaia di migliaia. E allora ce la possiamo fare. Anche secondo te questo significa essere romantico? Politicamente non mi sono mai realmente schierato, ma sono umano e questo per me vale molto. È la mia coscienza. Se posso fare qualcosa per aiutare io ci sono, eccomi qui. ‘Sono umano' l’ho già detto?".
Il papà che l'ha promesso alla figlia piccola

"Ho molta paura. Sento l’oppressione. Te la spiego meglio: c’è un popolo oppresso e questo dolore mi stressa. Saranno dieci giorni di navigazione con una pesantezza enorme, non sarà una crociera. Qualche volta non riesco a trovare senso nell’umanità, la mia non è una questione politica. Sono devastato da quello che leggo e da quello che vedo. Sono qui perché l’ho promesso a mia figlia, ha 5 anni e mezzo. Sono stato uno degli ultimi ad aver saputo di potermi imbarcare, sono arrivato solo due giorni fa. So che ci sono persone come te che sono qui da giorni".
"La promessa è questa: ci siamo messi seduti e le ho spiegato che il loro papà andrà a portare da mangiare a bambini della sua età, qualcuno più piccolo, qualcuno più grande. Bambini che non hanno da mangiare e che perciò hanno fame. E sai lei che cosa ha fatto? È andata a prendere il suo primo pupazzetto, quello di quando era piccola, e me lo ha dato dicendo: ‘Dallo al primo bambino che incontri!’ Quindi ho anche una responsabilità su di lei e la sento tutta, mi ha affidato il suo pupazzetto, capisci? E ora scusami se mi sono commosso. Avere una responsabilità su mia figlia piccola significa anche che magari fra quindici anni, quando lei magari studierà storia contemporanea e mi chiederà: ma tu quindici anni fa – durante questo genocidio – dov’eri? Cosa hai fatto? Ecco: io voglio poter rispondere senza dovermi vergognare".
L'uomo che parte per Gaza a 86 anni: "Troppo vecchio? Decido io"

"Io ho 86 anni, ma di solito rispondo sempre che ne ho 68 e se vogliono la verità devono invertire i numeri. Perché parto? Ma che domanda è? C’è un popolo che viene spazzato via, qualcuno pensa che io sia troppo vecchio ma non decidono gli altri, decido io. Cosa ho fatto fino a oggi? Tante cose. Da che parte? Dalla parte di chi è oppresso. Mi sento un po' anarchico. Sono contro tutti i poteri e contro tutte le gerarchie, anche in barca. Infatti non sarà facile".
"Io ho sempre lavorato per il mercato del lusso, realizzavo gioielli, in particolare orologi di alto design, l’ho fatto per tanti anni ma poi ho smesso e da tanto tempo realizzo soltanto orologi in acciaio, bronzo e alluminio. Cioè la qualità del prodotto a livello mentale e intellettuale rimane, ma non a livello economico, perché quello deve essere raggiungibile da tutti. Per questo ho abbandonato il lusso, e su questo principio vado avanti. Io parto senza nessuna speranza, perché non ha senso andare da Israele a chiedergli di lasciarci entrare a liberare il prigioniero, perché il guardiano non ti darà mai la chiave, però noi ci proviamo lo stesso. Perché solo una cosa è sicura: in questo momento c’è un genocidio. E allora parto anche se ho 86 anni, anzi ne ho 68. Ma se vuoi la verità devi invertire i due numeri".
"I governi non fanno niente, ora tocca a noi"

Poi lei, è una ragazza molto giovane ed è svizzera. “Io parto per Gaza perché stiamo assistendo da due anni a un genocidio in diretta streaming e i governi non stanno facendo niente, allora tocca alla popolazione civile fare qualcosa. Io penso che ogni persona su questa terra debba fare tutto quello che può. Ho iniziato il mio impegno per l’ambiente, quando ero più giovane, e per i diritti degli animali. Due anni fa ho iniziato il mio impegno anche per la Palestina. Una persona per tutte, e tutte le persone per una. Io la penso così”.
Per questo alla fine ho scelto di imbarcarmi: la Global Sumud Flotilla è la più grande e variegata missione umanitaria a memoria umana.
