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Inchiesta petrolio, indagato il capo della Marina. Guidi e Boschi saranno sentite da pm

Nell’inchiesta sull’impianto Tempa Rossa finisce anche il capo di Stato maggiore della Marina, l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi (ideatore di Mare Nostrum). Intanto l’ormai ex ministro dello Sviluppo, Federica Guidi, prova a difendersi: “Non ho favorito mio marito”. E Renzi promette: “Porteremo Grillo in Tribunale”.
A cura di Biagio Chiariello
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Ore 16.45 – Appello dei pm per l'arresto di Gianluca Gemelli. La Procura della Repubblica di Potenza presenterà appello contro il rigetto da parte del gip del Tribunale del capoluogo lucano della richiesta di arresto per Gianluca Gemelli. Lo si è appreso in ambienti giudiziari. Il compagno dell'ex ministra Guidi è indagato per concorso in corruzione e per millantato credito nell'ambito dell'inchiesta sul petrolio in Basilicata. La richiesta di arresto di Gemelli – rigettata dal gip Michela Tiziana Petrocelli – fa parte del filone dell'inchiesta che riguarda la costruzione del centro oli della Total a Tempa rossa.

UPDATE –  Boschi e Guidi saranno sentite dalla procura – A quanto si apprende nel capoluogo lucano, la Procura di Potenza potrebbe sentire la ministra Boschi e la ministra dimissionaria Federica Guidi sulla questione dell'emendamento per il via libera al giacimento "Tempa Rossa" in Basilicata che ha portato a un terremoto politico.

Il generale Giuseppe De Giorgi, il capo di Stato Maggiore della Marina, risulta indagato nell’ambito del caso di Potenza sull'impianto di Tempa Rossa, che l'altro ieri ha portato alle dimissioni del ministro allo Sviluppo economico, Federica Guidi. Secondo fonti di stampa, come il compagno dell'ex ministro, Gianluca Gemelli, De Giorgi deve rispondere di associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze per una storia riguardante l'Autorità portuale di Augusta. E’ stata Repubblica a rilasciare l’indiscrezione secondo cui “a settembre scorso è stato notificato un avviso di proroga delle indagini al capo di stato maggiore della Marina, indagato insieme al compagno dell’ex ministro Guidi per associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze per una storia riguardante l’Autorità portuale di Augusta”. Il quotidiano ricorda come De Giorgi, in scadenza di mandato, sia tra l'altro "l'ideatore di Mare nostrum" e il suo nome "sia circolato negli ultimi mesi per una candidatura al vertice della Protezione civile".

L’incarico del generale “scade tra poco più di un mese” prosegue Repubblica “e le notizie sul coinvolgimento nelle indagini sembrano destinate a segnare la fase finale di una navigazione condotta sempre sfidando le onde. De Giorgi infatti somma l’audacia dei piloti d’aereo all’esperienza del marinaio nel tenere la rotta in ogni situazione, nelle missioni militari come nelle manovre della politica: il mondo a cui ha scelto invece di dedicarsi il figlio Gabriele che, interrompendo la tradizione di famiglia, adesso è nello staff del sottosegretario Domenico Manzione”.  Per quanto riguarda l’inchiesta Petrolio, aggiunge il giornale, un nuovo filone vedrebbe nel mirino pure il porto di Augusta ed il ruolo avuto dalle lobby. Gli stessi magistrati starebbero pensando di sentire sulla vicenda anche il ministro Boschi e la stessa ormai ex ministra dello Sviluppo economico Guidi come persone informate sui fatti.

Negli ultimi giorni il nome di De Giorgi era stato fatto tra i papabili per la Protezione Civile “proiettando su scala globale l’esperienza di Mare Nostrum. Finché dalla procura di Potenza non è arrivato il siluro dell’indagine”. Il quotidiano racconta anche dei suoi tentativi di allontanare il prepensionamento “nonostante i meriti, le ipotesi di un rinnovo dell’incarico hanno incontrato resistenze in tutti gli ambienti della Difesa. D’altronde il suo orgoglio di marinaio non sempre lo ha visto allinearsi con le istanze di integrazione tra forze armate: nella sua visione, la Marina può intervenire autonomamente nello scacchiere mediterraneo grazie alle due portaerei, ai marò del San Marco e agli agguerriti incursori del Comsubin”.

Renzi: "Non ci manderanno a casa". E querela Grillo

"La disponibilità immediata di Guidi ad un passo indietro ha gettato nel panico le varie opposizioni che a quel punto non sapendo che fare hanno iniziato ad urlare ancora più forte chiedendo le dimissioni dell'intero governo, responsabile non si sa bene di cosa. E presentando l'ennesima mozione di sfiducia. Andremo in Parlamento, spero prima possibile. E ancora una volta il Parlamento potrà mandarci a casa, se vorrà. Ma non credo succederà neanche stavolta". Lo scrive Matteo Renzi nella sua eNews, sull'inchiesta petrolio. "Loro parlano, noi stiamo cambiando l'Italia. Dunque faranno ancora qualche piccolo show in aula. E poi torneranno alle loro cene romane a fantasticare su nuovi complotti: del resto i capipopolo sono persone che pensano che l'uomo non sia mai andato sulla luna, che le sirene esistono, che la mafia non ha mai ucciso nessuno". Il premier parla anche della querela nei confronti del M5S: "Il Pd ha deciso di querelare in sede civile e penale Beppe Grillo che pure alle condanne penale, a differenza nostra, è abituato. Accusare la comunità del Pd di essere complice e collusa, con le mani sporche di denaro e petrolio, significa insultare donne e uomini che non lo meritano. Andremo in tribunale e chiederemo i danni a Beppe Grillo".  E aggiunge che "tutto il risarcimento danni sarà dedicato ai circoli del Pd, alle Feste dell'Unità, all'attività dei volontari".

L'ex ministro Guidi: "Non ho favorito mio marito"

Nel frattempo Federica Guidi, in un'intervista al Corriere della Sera, rompe il silenzio dopo lo scandalo che l'ha travolta: "Nessuno ha rivelato segreti di Stato – si difende l'ex ministro. – Io rivendico l’importanza di quella norma per il Paese".  Quanto alla scelta di fare un passo indietro: "Una scelta umana, che costa".

Ecco il testo integrale della lettera dell'ex ministro Guidi, pubblicato sabato 2 aprile 2016 su Il Corriere della Sera.

Caro direttore,
in questi anni ho lavorato con estrema serietà e grande riservatezza, come mi hanno insegnato a fare nell’ambiente imprenditoriale nel quale mi sono formata. Oggi sento però l’esigenza di scrivere per chiarire alcuni punti e per sottolineare alcuni dati, che nella polemica politica sono stati strumentalizzati e deformati.

Comincerei dall’inizio, ricordando che la polemica nasce da una telefonata a colui che considero a tutti gli effetti mio marito, nella quale lo informavo di un provvedimento parlamentare di portata nazionale. In particolare, gli davo una notizia nota, su un fatto avvenuto in un luogo pubblico — il Parlamento — al quale hanno dato risalto tutti i media e del quale molti addetti ai lavori avevano già conoscenza perché di rilevante interesse per l’economia nazionale. Insomma, nessuno ha rivelato segreti di Stato.

Ma è bene anche entrare nel merito. Nella telefonata lo informavo di un emendamento che avrebbe consentito di accelerare i processi autorizzativi di molte opere strategiche, tra cui il cosiddetto progetto Tempa Rossa di Taranto, bloccato da anni. La società di mio marito, invece, operava come subappaltatrice in Basilicata per un lavoro che nulla aveva a che vedere con lo sviluppo del progetto di Taranto e risaliva ad epoca precedente a quella in cui sono stata nominata ministro.

Qualcuno ha gridato allo scandalo, al ministro che favorisce il marito. Non è vero. Io rivendico l’importanza di quella norma per il Paese. Come sappiamo, uno dei problemi dell’Italia è la costante necessità di acquistare dall’estero le risorse energetiche di cui abbiamo bisogno, per riscaldare le nostre case, per accendere le luci, per cucinare e per produrre le eccellenze del made in Italy che mandano avanti la nostra economia. In questo contesto una serie di grandi imprese hanno deciso di investire miliardi di euro per estrarre petrolio e gas naturale in Italia e di farlo, peraltro, al Sud. È un settore che il governo ritiene strategico e che comporta la creazione di posti di lavoro e di un indotto importante.

Insomma, non era necessario un mio speciale interessamento per mandare avanti una norma così importante. E comunque, dopo che è stata approvata, non abbiamo attivato i poteri sostitutivi che la legge ci conferiva. In sintesi, appare chiaro che tutto è accaduto alla luce del sole, su un progetto strategico per il Paese e nel massimo rispetto del mio ruolo. Ovviamente, mi rendo conto che ci sono tutti gli ingredienti per uno scandalo mediatico: il ministro, la telefonata, il grande progetto industriale, un mio familiare. Ricamarci sopra, per molti, è stato facile. Ancor più facile in vista del referendum sulle trivelle, che per molti è occasione non di ragionamento serio ma di bagarre politica.

Anche per questo, primariamente per ragioni di opportunità politica ho subito deciso di dimettermi, per senso di responsabilità verso il governo del quale ho fatto parte, a maggior ragione alla vigilia di un appuntamento fondamentale come è il referendum sulle trivelle. Ma la mia è anche una scelta umana, che mi costa, ma che ritengo doverosa per i miei principi che hanno ispirato sempre la mia vita. Credo che anche alla luce del ruolo istituzionale che ho ricoperto, queste precisazioni siano per me necessarie, per consentire ai lettori, ai cittadini e alle molte persone che hanno lavorato con me di farsi un’opinione critica conoscendo i fatti e potendo giudicare in maniera informata.

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