Imporre l’eiaculazione interna alla propria partner equivale ad uno stupro

Rischia l’accusa di violenza sessuale chi impone ad una donna non consenziente l'eiaculazione interna al termine di un rapporto sessuale. Lo si evince da una sentenza con cui la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha annullato con rinvio una pronuncia del Tribunale del riesame di Napoli, che aveva disapplicato la misura cautelare del “… divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa” disposta dal Gip di Avellino a carico di un 20enne, indagato, appunto, per violenza sessuale.
Al centro dell’inchiesta c’era un rapporto sessuale che l’indagato aveva avuto con la sua ex, la quale lo aveva lasciato perché esasperata della gelosia del giovane: i giudici partenopei avevano ritenuto che vi fossero elementi per ritenere che la ragazza fosse stata consenziente al rapporto e che “… l’eiaculazione del giovane all’interno della vagina, al termine del rapporto” aveva suscitato nella giovane “… un senso di rammarico”, ma non poteva dirsi “… venuto meno” solo per quello il consenso iniziale al rapporto.
Ma i giudici di piazza Cavour hanno dato ragione alla Procura di Napoli: “Le costanti precisazioni di questa Corte suprema sul tema dell’abuso sessuale determinato da un mutamento dell’originario consenso iniziale – si legge nella sentenza depositata oggi – fanno sì che anche una conclusione del rapporto sessuale, magari inizialmente voluto ma proseguito con modalità sgradite o comunque non accettate dal partner, rientri a pieno titolo nel delitto di violenza sessuale“. La Corte, infatti, sottolinea che “… l’eiaculazione interna rappresenta una delle tante modalità di conclusione di un rapporto sessuale che può incidere sulla sua spontaneità e libertà reciproca fino a trasformarlo in atto sessuale contrario alla volontà di uno dei due protagonisti. Né può ridursi – si legge ancora nella sentenza – il momento della eiaculazione ad un segmento ‘neutro’ dell’atto sessuale, soprattutto se non desiderato o comunque condiviso dal partner”, in quanto “in determinati contesti spazio-temporali, può avere conseguenze significative tali da trasformare un rapporto sessuale voluto in uno non voluto: ed è in dubbio che il modo di conclusione del rapporto può assumere un significato invasivo tale da incidere sulla iniziale libertà di autodeterminazione del partner”.
Secondo la Cassazione, ci sarebbe poi una frase scritta dall’imputato dopo il fatto (“… ora ti ho rovinata”) con la quale “… che evidenzia “in modo manifesto – conclude la Corte – l’atteggiamento prevaricatore di un soggetto che intendeva legare a se’ la donna magari prospettandole il rischio di una gravidanza che avrebbe potuto indurre la giovane a ripensare alla definitiva interruzione del rapporto, riprendendolo”.