Ilva: patto segreto per piazzare centraline all’esterno degli impianti di Taranto

Vi era un patto tra amministratori dell'Ilva di Taranto e personaggi delle istituzioni locali per far si che le centraline di rilevamento dei fumi tossici dello stabilimento siderurgico pugliese venissero installate fuori dalle mura della fabbrica e non dentro in modo da arrecare meno danno possibile. E' quanto sostengono gli inquirenti che indagano sul caso dell'inquinamento dell'Ilva a Taranto in base alle intercettazioni acquisite nel corso dell'inchiesta. Al centro di questo rapporto tra Ilva e amministrazioni locali vi era secondo i pm il potentissimo Girolamo Archinà, braccio destro dei Riva e ora indagato per concussione nell'inchiesta "ambiente svenduto". Lo stesso Archinà che ha messo in difficoltà il governatore pugliese Nichi Vendola intercettato in una telefonata in cui i due scherzano a proposito di un episodio relativo ad un'intervista sul caso Ilva. Come racconta Repubblica i giudici dunque sostengono che Archinà intensificò i contatti con il mondo politico e istituzionale pugliese proprio in occasione di un incontro tecnico sul problema benzoapirene nell'aria del quartiere Tamburi, durante il quale il professore Assennato sosteneva la necessità di collocare centraline di monitoraggio dell'aria all'interno dello stabilimento.
Archinà era il tramite – Su mandato dei Riva Archinà quindi contatta il dirigente del settore ambiente della Regione Antonello Antonicelli, ora anche lui indagato per favoreggiamento, e avverte che l'intenzione è quella di spingere affinché le centraline venissero posizionate nell'area esterna dell'Ilva e non nelle cokerie. Archinà parlando anche con Riva si vanta apertamente dei rapporti che ha in Regione e della benevolenza dello stesso Presidente Vendola che come sottolineano i giudici in quel momento è "attestato su posizioni decisamente favorevoli all'Ilva".