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“Il mondo della ristorazione ha illuso la mia generazione, ho ricevuto la prima tredicesima solo a 40 anni”

Filippo Rignanese, 40 anni, ha raccontato a Fanpage.it i sacrifici fatti per diventare chef e la disillusione dopo 25 anni nel mondo della ristorazione. “Per cucinare devi pagare con la vita, oggi lavoro per le mense. La mia prima tredicesima? L’ho ricevuta l’anno scorso. Credevamo che la nostra gavetta e i nostri sacrifici sarebbero stati ripagati, ma la nostra generazione è stata illusa e delusa”.
A cura di Gabriella Mazzeo
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Filippo Rignanese
Filippo Rignanese

Venticinque anni trascorsi in cucina, eppure Filippo Rignanese sente di essere stato illuso dal mondo della ristorazione. "Credevamo che la gavetta ci avrebbe spinto sempre più avanti fino a raggiungere ottimi stipendi, credevamo che sacrificandoci per il lavoro prima o poi avremmo visto i frutti dei nostri investimenti ma così non è stato – ha raccontato Filippo a Fanpage.it -. Ho 40 anni, sono cuoco da 25, eppure mi ritrovo ad avere uno stipendio quasi inferiore a quello che prendevo a 19 o 20 anni".

Ogni giorno Fanpage.it riceve e pubblica centinaia di storie sul mondo del lavoro, in particolare sullo sfruttamento nel settore della ristorazione. Tra le email ricevute c'è anche quella di Filippo, che oggi vive a Roma dopo una vita passata a cucinare in giro per il mondo. Al telefono con noi ricorda di aver lasciato casa a 19 anni per inseguire il sogno di diventare chef. "A 15 anni ho iniziato nelle cucine di paese, nel Gargano, poi a 19 anni mi sono spostato in Toscana e da lì non mi sono voltato più indietro – ha spiegato in un'intervista telefonica-. Per 10 anni ho inseguito i ristoranti stellati, lavorando accanto ai professionisti più blasonati del settore. Credevo che quel sacrificio mi avrebbe ricompensato, ma così non è stato. A un certo punto ho ridimensionato le mie aspettative e mi sono reso conto che neppure questo è bastato, che nonostante la fatica profusa per noi non c'è niente".

"Quando sei giovane e lavori per uno chef stellato non pensi allo stipendio – ricorda -. Ti racconti che servirà per la tua carriera, che sì in quel momento guadagni poco e lavori tanto ma che presto le cose cambieranno. Per un periodo è stato così, abbiamo visto crescere i nostri guadagni, poi si è tutto bloccato. La mia generazione, quella che oggi ha compiuto 40 anni, è vittima di un grande inganno. Abbiamo creduto che i nostri sacrifici sarebbero stati ripagati ma ci ritroviamo in un mondo in cui le ore di lavoro restano sempre le stesse, le tutele diminuiscono e gli stipendi si appiattiscono sulle stesse cifre da anni".

Dopo l'arrivo in Toscana e gli anni passati a lavorare per gli chef stellati, Filippo ha lavorato più volte come capochef nel nostro Paese. "Arrivi a guadagnare anche 2mila euro al mese, quello sì. Sulla carta è un'offerta allettante, ma a quale prezzo? Lavori per tantissime ore al giorno, più di 12, e alla fine quello che porti a casa è molto meno di quello che dovresti guadagnare perché spesso il TFR è spalmato all'interno del tuo salario, così come la tredicesima. Per guadagnare quei soldi poi devi vendere la tua intera vita". La cucina, spiega Filippo, assorbe lentamente tutte le tue energie, togliendoti hobby, tempo libero e spazio per la vita privata.

"Tu sei lì che lavori oltre 12 ore al giorno, se qualcuno ti chiede il nome del Papa, tu non lo sai neppure. Tutto il tuo tempo e i tuoi pensieri sono assorbiti dalla cucina, soprattutto se lavori in ristoranti stellati o comunque molto rinomati. A lungo andare ho capito che il gioco non valeva la candela e ho ridimensionato le mie aspettative, ho cercato qualcosa che mi permettesse anche di vivere. Ho provato a lavorare come capochef, poi sfinito mi sono buttato nel settore delle mense: cucino per la mensa di scuole, aziende e ospedali. Non mi vergogno a dire che l'anno scorso è stato il primo anno in cui ho ricevuto la tredicesima". 

Anche su quanto riportato dai contratti di lavoro, Filippo ha mostrato di avere le idee chiare. "Ma certo, nei contratti c'è tutto. C'è scritto quante ore dovresti lavorare e quante ore dovresti riposare, c'è scritto anche quanto dovresti ricevere di stipendio, ma poi nell'applicazione non c'è davvero niente di legale. Credi di guadagnare 2mila euro ma all'interno di quello stipendio ci sono così tante ‘voci' spalmate che alla fine è molto meno quello che intaschi. So bene che, per esempio, il TFR non potrebbe essere parte dello stipendio, ma nella ristorazione italiana accade. Nel frattempo ribellarsi è impossibile, perché ti viene detto: ‘O così, o non lavori' ".

"In Italia i ristoranti pretendono di riempire i tavoli a pranzo e a cena, ma di mantenere una sola brigata di lavoro con lo stesso stipendio. Bisognerebbe iniziare a cambiare mentalità, a capire che se puoi permetterti di arrivare a 8, dovresti fermarti lì e non puntare a un 10 che non puoi raggiungere per mancanza di disponibilità. Il dipendente va pagato. Mi è capitato di avere a che fare con imprenditori che mi dicevano di essere in difficoltà, ma poi non li ho mai visti rinunciare alle vacanze. Al netto di ciò che ho visto, non so dire quanto fosse aspra questa difficoltà. Tutti vogliono il ristorante h24, ma lo vogliono alle loro condizioni, con costi contenuti e ottimo servizio: in Italia si lavora su due turni (pranzo e cena ndr) con un'ora per riposare. Se abiti lontano da dove lavori, con quell'ora non fai niente. Ti siedi, mangi qualcosa e poi ricominci. Non è uno stile di vita sostenibile per un essere umano".

Secondo lo chef, in Italia i ragazzi stanno sovvertendo il mercato del lavoro, soprattutto nella ristorazione. "Le resistenze sono ancora tante – ribadisce – soprattutto se vuoi lavorare a certi livelli. C'è chi per anni si è chiuso in cucina e non concepisce che un ragazzo non voglia fare lo stesso. Tra i motivi per cui ho lasciato i ristoranti stellati c'è anche questo, stavo diventando una persona che non sono, mi stavo incattivendo. Pensavo: ‘Io ho fatto gavetta chiuso qui dentro, perché questo ragazzo pensa di non doverlo fare?'. Gli show televisivi di cucina hanno illuso moltissime persone facendo loro credere che si può diventare chef con uno schiocco di dita, che è un lavoro dalle paghe sempre stellari. Sono nate tantissime scuole di cucina che per 20mila euro ti promettono mari e monti e i ragazzi ci si iscrivono per poi finire a fare stage nei ristoranti blasonati. Qui entrano convinti di poter subito cucinare, ma non è così. In breve tempo si ritrovano a interfacciarsi con chi in cucina ha dovuto passare la maggior parte del suo tempo, a fare i conti con il fatto che prima di cucinare piatti incredibili bisogna partire dalle basi, dalle trattorie. Alla fine di quello stage capiscono di essere stati sfruttati a titolo gratuito e di essere identici a tutti quanti gli altri".

"Se avessi un figlio, non gli consiglierei il mondo della cucina" ha concluso Filippo. "Non lo scoraggerei, ma gli direi tutto quello che deve sapere su questo settore. Se avessi saputo anni fa quello che mi avrebbe riservato la vita, probabilmente mi sarei approcciato in maniera molto diversa a questo lavoro".

La nostra redazione riceve testimonianze relative a storie che riguardano il mondo del lavoro. Decidiamo di pubblicarle per spingere a una riflessione sulle condizioni e sulla grande disparità nell'accesso a servizi essenziali. Hai una storia simile da raccontare? Scrivici qui

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