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Il caso dell’Unabomber italiano: le indagini e l’archiviazione senza un colpevole

Tra il 1993 e il 2007 il Nord-Est Italia fu scosso da una serie di attentati esplosivi attribuiti all’Unabomber italiano. Mai identificato, il colpevole colpiva con ordigni nascosti in oggetti comuni, generando un clima di terrore nel Paese di quegli anni. A lui è dedicata la serie Sky “Fantasma – Il caso Unabomber” uscita martedì 30 settembre. Il caso è stato definitivamente archiviato nel 2023: i reati sono caduti in prescrizione.
A cura di Eleonora Panseri
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Gli investigatori sul luogo in cui venne trovato uno degli ordigni di Unabomber.
Gli investigatori sul luogo in cui venne trovato uno degli ordigni di Unabomber.

Per più di 10 anni l'Unabomber italiano ha gettato il Paese in un clima di paura e incertezza. Il noto criminale, di cui non si è mai riusciti a scoprire l'identità, fu attivo nelle province di Pordenone e Treviso tra il 1993 e i primi anni del 2000.

A lui è dedicata la serie Sky "Fantasma – Il caso Unabomber" uscita ieri, martedì 30 settembre. Numerosi furono gli ordigni esplosivi inseriti in oggetti di uso quotidiano, penne, tubetti di maionese, accendini e giocattoli, che colpirono decine di persone causando gravi ferite.

Nel 2002 venne indagato un uomo, Elvo Zornitta, scagionato nel 2009 dopo che fu scoperta una manipolazione di prove, fatto che compromise fortemente le indagini. Nel 2023 il caso è stato ufficialmente archiviato per prescrizione. 

Come agiva Unabomber: gli attentati del bombarolo

Come già anticipato, l'Unabomber italiano (che deve il nome all'Unabomber statunitense Theodore John Kaczynski, terrorista e anarchico) nascondeva ordigni artigianali all’interno di oggetti di uso quotidiano, come tubi, giocattoli, penne, tubetti di maionese/pomodoro, accendini, confezioni di uova.

Gli ordigni erano fabbricati in modo che esplodessero al contatto, provocando tagli e mutilazioni, anche gravi. Nei 14 anni di attività di Unabomber non ci furono vittime, poiché l’effetto cercato dal criminale era il danno fisico e soprattutto creare terrore nella popolazione.

I bersagli erano assolutamente casuali, spesso bambini, famiglie, persone comuni, e gli ordigni venivano lasciati in luoghi pubblici senza un preciso schema, rendendo difficile prevedere o prevenire gli attacchi. Si contano più di 30 attentati attribuiti a Unabomber tra il 1993 e il 2007.

Le indagini

Le indagini sono state lunghe e complesse, con anche errori investigativi che hanno complicato l’identificazione dell’autore degli attentati. A oggi infatti non si conosce ancora la sua identità. 

La prima esplosione attribuita a Unabomber risale al 1993, da quel momento gli attentati iniziarono a ripetersi con una certa continuità. Tra i casi più noti c'è quello avvenuto a Pordenone il 30 settembre 1995, quando esplosero due tubi bomba nella stessa giornata e uno di essi determinò il primo ferimento grave.

A raccoglierlo in via Fratelli Bandiera, nei pressi di un'abitazione e vicino a un cassonetto della spazzatura, fu una pensionata, Anna Pignat; quando l'ordigno esplose, causò alla donna gravissime lesioni agli arti superiori.

Il secondo tubo venne trovato in via Fratelli Rosselli da un'altra donna, che lo raccolse e portò a casa. Il giorno successivo, venuta a conoscenza del primo episodio, lo consegnò ai Carabinieri. I militari fecero brillare l'ordigno, perdendo l'occasione di farlo analizzare.

Dopo circa due anni di inattività, tra il 1997 e il 1999 compresi, il 6 marzo 2000 a San Vito al Tagliamento, nel Pordenonese, gli attentati ripresero. Il primo episodio, senza conseguenze, introdusse l'uso di ordigni camuffati da oggetti innocui e la presa di mira di bambini. Venne trovato infatti un ordigno inesploso dentro una bomboletta per le stelle filanti.

Tra i bimbi vittima di Unabomber c'è Francesca Girardi, che nel 2003 aveva 9 anni. Il 25 aprile, giorno della Liberazione, raccolse lungo il greto del fiume Piave a San Biagio di Callalta ed aprì un evidenziatore che esplose procurandole gravissime lesioni alla mano e all'occhio destri.

Su chi si concentrarono i sospetti

Nel corso delle indagini furono attenzionate centinaia di persone. Tuttavia, solo due di queste finirono nel registro degli indagati con ipotesi di reato concrete.

Nel 1996 fu indagato Andrea Agostinis. La sua figura venne collegata a un'organizzazione terroristica greca e pervenne un'informazione all'Ansa che lo indicava come responsabile di uno degli attentati. L'ipotesi fu smentita e la sua posizione archiviata ufficialmente nel 1999 per insufficienza di prove.

Nel 2004 fu invece il turno dell'ingegnere Elvo Zornitta, ufficialmente indagato dopo che la sua abitazione fu perquisita. Le indagini si concentrarono su di lui fino al 2009. Le accuse contro di lui si basavano su una perizia che, si scoprì in seguito, era stata basata su una prova truccata allo scopo di incastrarlo.

La posizione di Zornitta fu archiviata nel 2009. L'ingegnere lamentò seri danni personali e patrimoniali, tra cui la perdita del lavoro. Nell'ottobre 2022 ha ricevuto un risarcimento dallo Stato pari a 300mila euro.

La riapertura del caso e gli attentati finiti in prescrizione

Dopo anni di silenzio, nel 2022 la procura di Trieste ha annunciato la riapertura delle indagini sul caso Unabomber con l’obiettivo di trovare un possibile collegamento genetico o comportamentale tra le prove fisiche raccolte (come frammenti di ordigni e DNA residuo) e i sospettati dell’epoca.

Tuttavia, nel febbraio 2023, la procura ha chiesto e ottenuto l’archiviazione del fascicolo, poiché i reati contestati erano ormai caduti in prescrizione. Secondo il codice penale italiano, i reati come lesioni personali gravissime e attentato alla pubblica incolumità hanno limiti temporali di perseguibilità (20 anni o più, a seconda dei casi).

Visto che l'ultimo attentato risaliva al 2006, ogni possibile azione penale era ormai bloccata. Infatti, non sarebbe più possibile processare il presunto colpevole per quei reati anche se venisse identificato oggi.

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