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Il boss Nino Mandalà dal suo blog: “Il 41 bis è tortura, va abolito”

Torna a far discutere Nino Mandalà, condannato ad otto anni di reclusione per mafia, che dalle pagine del suo blog lancia un appello contro il 41- bis, il regime di carcere duro per i mafiosi.
A cura di Redazione
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"Ho sperimentato sulla mia pelle cosa significa sollevare il problema relativo al regime del 41 bis per essere stato investito, quando ho affrontato l’argomento, da invettive, insulti e inviti a finire i miei giorni in un gulag".

Comincia in questo modo uno degli interventi più accorati e significativi che Nino Mandalà abbia mai affidato alle pagine del suo blog. Un appello a rivedere il 41 bis, "un regime di tortura, con la sua applicazione che è un vulnus del nostro sistema giudiziario". Un appello a cancellare il carcere duro, istituito dall'articolo 41 bis della legge n.354, che comporta durissime misure come la limitazione dell'ora d'aria, il controllo serrato dei colloqui e della corrispondenza.

Mandalà, condannato in appello ad otto anni di reclusione e più volte chiamato in causa in procedimenti giudiziari a carico di esponenti di spicco della malavita organizzata (e non solo) è chiarissimo sulla questione:

Quando parlo di giustizia non intendo indulgenza nei confronti delle colpe e delle pene. A ciascuno il suo, ai colpevoli l’espiazione della pena, ai giusti la pretesa del rispetto dei fondamentali diritti umani. Il rigore dell’espiazione non deve essere frainteso e confuso con la tortura, l’espiazione deve procedere senza sconti ma avendo riguardo per la dignità del colpevole e dei suoi familiari. […] Ecco cosa intendo per giustizia di contro al giustizialismo, non certo il perdono da parte dello Stato che non può abdicare al suo rigore, ma neanche la vendetta e l’accanimento nei confronti del reo al cui fianco mi piace immaginare la pietà della vittima che ben conosce la sofferenza e ne avverte l’insensatezza.

E solo in questa chiave di lettura che si comprende la portata e la valenza dell'appello successivo che rivolge a "uomini come il Capo dello Stato", ma anche a luminari, politici, giornalisti e pensatori come Veronesi, Ostellino, Pannella, Della Vedova, Manconi, Battista, Polito, Panza, Pisapia, Ferrajoli, Scalfari:

Ad essi ricordo che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 39/46 del 1987 ha approvato una Convenzione contro la tortura e ha obbligato gli stati contraenti ad adottare una serie di provvedimenti in sintonia con la convenzione approvata. La legislazione italiana non si è ancora adeguata a quest’obbligo e, se si fa riferimento all’art. 27 della Costituzione sulla umanizzazione della pena, non c’è dubbio che il 41 bis è un regime di tortura e che la sua applicazione è un vulnus del nostro sistema giudiziario. D’altronde siamo destinatari di parecchie censure in merito da parte della Comunità europea. La giustizia in uno stato liberale altro non è che una valutazione morale esercitata in un ordinamento legale, grazie alla quale lo Stato può giustificare il ricorso alla violenza, attraverso la condanna e la carcerazione, in risposta alla violenza del cittadino. Ma lo Stato che affida ad una valutazione morale la ragione della sua violenza, non può prescindere da un analogo imperativo morale che imponga il rispetto della condizione umana alla quale è costretto a fare violenza.

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