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Gli effetti del Covid sulla salute mentale: +300mila pazienti psichiatrici, boom di psicofarmaci

Quali sono stati gli effetti del coronavirus sulla salute mentale? L’abbiamo chiesto al professor Massimo Di Giannantonio, presidente della Società Italiana di Psichiatria: “Le farmacie hanno aumentato del 35% le dotazioni di ansiolitici e ipnotici e del 28,2% le dotazioni di antidepressivi. Ci attendiamo 300mila nuovi casi in carico ai dipartimenti di salute mentale”.
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A cura di Davide Falcioni
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Apatia, ansia, depressione, disturbi del sonno, ma anche iperattività, desiderio di trasgredire alle restrizioni e ribellarsi alle chiusure per "sentirsi vivi". L'epidemia di coronavirus sta avendo conseguenze drammatiche su tutta la popolazione, ma mentre quelle sulla salute fisica sono circoscritte direttamente ai contagiati gli effetti psicologici non stanno risparmiando nessuno. Uno studio condotto dall'Istituto Superiore di Sanità su un campione di 2700 gemelli adulti (età media 45 anni) e 878 famiglie con gemelli minorenni rivela l'impatto della pandemia sulla condizione di salute mentale, in termini di stress percepito e presenza di sintomi ansiosi e depressivi. "Sono stati osservati – spiega l'Iss – sintomi depressivi o da stress rispettivamente nell’11 e nel 14% del campione. I livelli di ansia invece sono risultati oltre il range di normalità nella metà circa dei soggetti esaminati". Il 6% dei soggetti presi in esame ha dormito peggio durante il periodo di lockdown, il 4% ha mostrato una forte preoccupazione per la propria salute fisica e mentale, il 13% ha dichiarato di essersi sentito abbastanza spesso triste e l’11% di essersi sentito abbastanza spesso solo. In una recente intervista a La Repubblica il filosofo francese Edgar Morin sostiene che "la vita è una navigazione in un oceano di incertezze attraverso isole di certezze”. Ma in una pandemia anche le poche "isole" alle quali credevamo di poterci aggrappare rischiano sbriciolarsi con conseguenze materiali e psicologiche imprevedibili. Del tema della salute mentale in relazione alla pandemia abbiamo parlato con il professor Massimo Di Giannantonio, presidente eletto della Società Italiana di Psichiatria.

Quasi 40mila morti, centinaia di migliaia di contagiati, sistema sanitario in forte affanno e grande incertezza economica sul futuro. Eppure c'è un tema che raramente è stato affrontato in Italia, quello della salute mentale dei cittadini.
Le conseguenze della pandemia sono state importanti sia sulla popolazione in generale, sia su quella parte che già da tempo afferiva ai dipartimenti di salute mentale perché portatrice di una patologia psichiatrica, sia nella grande galassia degli operatori sanitari. Se ne parla troppo poco, ma le conseguenze psicologiche della pandemia saranno gravi e diffusissime.

Cosa avete riscontrato?
Ci troviamo di fronte un aumento dei disturbi dell’adattamento con ansietà generalizzata e ansietà somatizzata. Ce lo dimostrano chiaramente alcuni indicatori neurobiologici come l’alterazione del ritmo circadiano sonno-veglia, la produzione cortico-steroidea dell'asse ipotalamo-surrene-ipofisi e l’alterazione dei parametri biologici di base. È poi necessario fare delle distinzioni: vi sono dei profili di personalità cosiddetti "campo dipendenti" che in questi mesi hanno avuto un incremento della sintomatologia negativa, come diminuzione delle azioni, abbassamento delle relazioni, calo dell’interesse alle attività sociali, diminuzione della capacità di interazione sociale, rifugio nei mondi virtuali e disturbi alimentari. Molti di loro hanno anche trovato rifugio nelle auto terapie consumando sostanze psicofarmacologiche legali come ansiolitici, ipnotici e antidepressivi, senza dimenticare alcol e sostanze psicoattive. Oltre a loro ci sono poi soggetti che noi addetti ai lavori definiamo "campo indipendenti", che hanno avuto reazioni diametralmente opposte: attivazione del comportamento, tendenza alla iper eccitabilità, desiderio di infrangere i limiti e le restrizioni e forte istinto alla trasgressione; per questi l'"azione" è un modo per spezzare il circolo vizioso di ansia e preoccupazione.

Il grande dilemma che tutti abbiamo dovuto affrontare è quello tra difesa della salute e difesa delle libertà personali.
Rispetto a questa grande dicotomia le persone hanno reagito secondo i loro profili di personalità specifici e secondo le caratteristiche del loro sviluppo psico-affettivo. Ad esempio abbiamo riscontrato che tanto più i soggetti hanno avuto un’infanzia ricca di traumi e conflitti, tanto più hanno sviluppato reazioni di tipo "campo indipendente".

Ha accennato al ricorso agli psicofarmaci. Avete delle informazioni più specifiche?
Non esistono ancora delle statistiche ufficiali sui consumi di psicofarmaci ma abbiamo registrato nei grandi centri regionali di prenotazione di farmaci un aumento del 35% di dotazioni di ansiolitici e ipnotici e un incremento del 28,2% degli antidepressivi. Questi, lo sottolineo, sono i quantitativi di ordinazioni all’ingrosso da parte dei farmacisti al dettaglio, ma sono numeri significativi. Se questa è l'offerta, la domanda non può essere molto differente…

Tra gli effetti indiretti del Covid-19 c'è la cosiddetta ansia da “limbo”. Di cosa si tratta?
È un nuovo tipo di ansia – “da sospensione del tempo” – che aumenta il malessere psichico di molte persone. Il limbo è la rappresentazione simbolica di un’attesa che non trova termine: quella del vaccino, del risultato de tampone, del ricovero di un caro. Questa attesa può essere vissuta in modi differenti a seconda delle personalità. Vediamo ogni giorno sempre più persone che la subiscono passivamente, facendola diventare una sorta di alibi per attuare un atteggiamento rinunciatario e passivo. Ne vediamo poi altre insofferenti che reagiscono in modo aggressivo, a volte violento.

Da giorni si parla di misure restrittive riservate esclusivamente agli anziani. Avrebbero senso, secondo voi? 
È una proposta estremamente pericolosa: devo ricordare che gli anziani sono cittadini al pari di tutti gli altri e non possono essere limitati nei loro diritti costituzionali. La loro salute non ne gioverebbe visto che molto spesso nella terza e quarta età vi è una netta diminuzione dei rapporti affettivi. Ad esempio chi è ricoverato nelle Rsa da molti mesi non vede i propri cari. Registriamo sempre più spesso tra gli anziani sensazioni di solitudine, abbandono e angoscia, non ha alcun senso considerarli persone con esigenze diverse e trascurabili rispetto a quelle dei cittadini più giovani.

Altri grandi protagonisti della pandemia sono i bambini e adolescenti.
In loro registriamo una condizione di rallentamento della maturazione psicoaffettiva, un rallentamento nella maturazione della condizione psicosociale, una sensazione di disorientamento e una regressione nella capacità di sviluppare rapporti indipendenti. Ricordo che mentre la famiglia è considerata l'agenzia di socializzazione primaria, quella secondaria e altrettanto fondamentale è la scuola. Quando questa viene meno in un’età particolarmente delicata come la prima infanzia, la seconda infanzia e la prima adolescenza gli effetti sui percorsi evolutivi e maturativi non possono essere trascurabili.

Ci sono rimedi che le famiglie possono mettere in campo?
Certo che ci sono. È indispensabile mantenere un clima affettivo più sereno e creativo possibile in famiglia consentendo contatti frequenti in videochiamate e telefonate con i parenti più stretti, in particolare i nonni.

La sanità pubblica ha subito negli ultimi anni importanti tagli. Qual è la situazione nei dipartimenti di salute mentale?
I dipartimenti di salute mentale sui territori hanno in carico 900mila persone, ma ci attendiamo nei prossimi mesi un’onda d’urto con altri 300mila nuovi casi. Si tratta di pazienti che possono avere da problemi brevi e transitori a psicopatologie più serie, in particolare sindrome post traumatiche da stress e attacchi di panico. I dipartimenti hanno dato una grande risposta organizzativa anche ricorrendo alla telepsichiatria, ma oggi si sconta una drammatica riduzione degli organici negli ultimi anni con un rapporto tra neoassunti e professionisti  andati in pensione che è di 1 su 4. Vogliamo svolgere la nostra attività al pari dei grandi paesi europei come Francia, Inghilterra e  Germania, ma abbiamo bisogno disperato di fondi. Per legge i Dipartimenti di salute mentale dovrebbero attingere a una quota parte del 5% del budget delle aziende sanitarie regionali. Oggi però ricevono un finanziamento del 3,2 per cento sui budget aziendali. Ecco, oggi rischiamo di pagare a caro prezzo il disinvestimento pubblico nella tutela della salute mentale dei cittadini.

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