“Francesco era un pasticcione, ora Prevost si occupi degli USA”: Papa Leone XIV secondo Odifreddi

Cosa hanno in comune il nuovo Papa, Leone XIV, capo della Chiesa Cattolica e custode dei suoi dogmi immutabili e infallibili – come la resurrezione di Cristo e la verginità di Maria – e uno scienziato ateo e irriverente anticlericale come Piergiorgio Odifreddi? A primo acchito si potrebbe rispondere: niente, nessun punto di contatto, due rette parallele destinate a non intersecarsi mai.
E invece non è così, tra i due c'è un punto in comune. Entrambi, infatti, hanno studiato matematica all'Università, sia pur approfondendo la materia in modo molto diverso. Il Pontefice si è fermato alla laurea triennale presso la Villanova University (USA), mentre Odifreddi dopo la laurea (Università di Torino) ha proseguito con la ricerca, l'insegnamento e la divulgazione negli Stati Uniti, in Unione Sovietica e in Cina. Fanpage.it l'ha "intercettato" in aeroporto poco prima di un decollo. E abbiamo avuto la conferma che, non di rado, matematica e fede sono perfettamente compatibili. Ma soprattutto che per Odifreddi Papa Leone XIV dovrebbe ora occuparsi dei problemi degli Stati Uniti con Trump: "Che resti lì a sistemare le loro cose, e lasci in pace noi".
Professor Odifreddi, dopo la morte di Benedetto XVI lei ci raccontò che da bambino sognava di fare il Papa. Poi, però, prese tutt’altra strada diventando ateo. Tuttavia lei e Leone XIV avete qualcosa in comune, siete quasi colleghi: entrambi avete studiato matematica…
In realtà questa cosa non deve stupire più di tanto; tra tutte le categorie di scienziati, infatti, i matematici sono i più credenti… o più "creduloni". Qualche anno fa, ad esempio, Avvenire pubblicò un’indagine secondo cui circa il 15% dei matematici crede in Dio. È una minoranza, certo – significa che l’85% non crede – ma comunque non è una percentuale trascurabile. Soprattutto se la confrontiamo con altri ambiti scientifici. Prenda i biologi, per esempio: lì la percentuale di credenti scende al 4%.
Come si spiegano questi dati?
I matematici tendono a concepire Dio in termini più astratti. Alcuni si interrogano sull'esistenza di Dio quasi come se fosse un problema da dimostrare, un'entità logica. I biologi, invece, si trovano a confrontarsi con un Dio che dovrebbe "mettere il naso" nei processi dell’evoluzione – nel passaggio da una specie all’altra, per esempio – ed è forse più difficile conciliare questo con l’approccio scientifico.
Torniamo ai matematici.
In Italia ne abbiamo avuti di eccezionali e credenti: penso ad esempio a Ennio De Giorgi, che sfiorò la vittoria della medaglia Fields, il massimo riconoscimento internazionale per la ricerca matematica, paragonabile al Premio Nobel. De Giorgi era docente alla Normale di Pisa, e anche molto religioso, un cattolico praticante. Non era affatto un caso isolato.
Anche nel mondo ecclesiastico ci sono stati altri matematici?
Sì, ad esempio Padre Federico Lombardi, portavoce di Benedetto XVI e poi anche di Papa Francesco per diversi anni. Sempre al seguito del Papa, anche nei viaggi in aereo. Ebbene, lui era laureato in matematica, addirittura specializzato in logica, nella stessa università dove studiavo io. Ci siamo anche incrociati: lui stava finendo quando io cominciavo.

Non trova curioso che il capo di una religione – che, diciamocelo, non si basa principalmente sulla logica bensì sulla fede – abbia studiato matematica, una disciplina che invece è tutta costruita sulla logica?
Capisco la perplessità. In effetti, il linguaggio che usa Leone XIV – le invocazioni a Dio, la Madonna, le benedizioni, il latino liturgico – tutto questo è molto lontano dal linguaggio della matematica. Però bisogna anche ricordare che la matematica è un campo vastissimo. Ci sono tante branche diverse. Io non so esattamente che cosa abbia studiato lui, ma da quello che ho letto ha preso un "bachelor", quindi un titolo equivalente alla nostra laurea triennale, e poi ha proseguito con Teologia e Filosofia.
Quindi un percorso non proprio approfondito, almeno in matematica…
Esatto, ma in realtà c’è una parte della matematica che si chiama logica matematica – ed è proprio quella che studiavo e insegnavo io – che ha avuto a che fare con la religione per secoli. Durante il periodo della filosofia scolastica, diciamo dal 1000 al 1350, i teologi cercavano di formulare dimostrazioni logico-matematiche dell’esistenza di Dio. Già gli antichi ci avevano provato, ma in modo piuttosto rudimentale. I filosofi scolastici invece usavano concetti più raffinati come la logica modale: possibilità, contingenza, necessità…
E poi?
Poi, certo, quel sistema è crollato, come ha spiegato bene Kant. Però il fermento c’è stato, e persiste. Nei miei incontri con Benedetto XVI, ad esempio, ci siamo confrontati spesso su queste cose, parlando anche di Kurt Gödel. È stato, assieme ad Aristotele, uno dei più grandi logici di sempre. Negli anni ’70 presentò una dimostrazione dell’esistenza di Dio usando la logica matematica.
Una dimostrazione matematica dell’esistenza di Dio?
Sì, sì. Ma attenzione: la matematica non dà mai verità assolute. Dimostra teoremi a partire da assiomi, da ipotesi. E tutto dipende dagli assiomi che scegli. Gödel definisce Dio secondo i suoi assiomi, e da lì ne deriva l’esistenza. È una cosa molto interessante dal punto di vista intellettuale, ma non è affatto convincente sul piano religioso o esistenziale. Nessuno, insomma, comincerebbe a credere in Dio solo perché Gödel ha trovato un teorema. Di queste cose un giorno mi piacerebbe parlare anche con il nuovo Papa, come ho fatto a lungo con Ratzinger.

Dogmatismo religioso e logica possono coesistere?
No, direi proprio di no. Il dogmatismo religioso si basa sull'accettazione incondizionata di verità rivelate, assiomi considerati veri a priori. La logica, invece, funziona in modo molto diverso: non dà per scontata la verità degli assiomi, li considera ipotesi di partenza da cui si sviluppano deduzioni. Sono due approcci incompatibili.
Quindi in matematica, ad esempio, gli assiomi non sono verità assolute?
Esatto. In matematica gli assiomi non sono verità in senso assoluto, ma convenzioni da cui si costruisce una teoria. Pensiamo alla geometria: per secoli abbiamo usato quella euclidea, che si basa sul postulato delle parallele – cioè che per un punto esterno a una retta passa una e una sola parallela. Ma nell’Ottocento si è scoperto che si può costruire una geometria perfettamente coerente negando quel postulato. In quella geometria, per esempio, da un punto possono passare infinite parallele a una retta. Nessuna delle due geometrie è vera in senso assoluto. Sono entrambe valide, ma dipendono dagli assiomi di partenza. Se cambi gli assiomi, cambi la teoria. Quindi la matematica è, in un certo senso, tutta ipotetica. Anche affermazioni che sembrano assolute, come "due più due fa quattro", in realtà possono variare, ad esempio se non usiamo i numeri solidi bensì i numeri "modulo 12".
Passiamo all'attualità di questi giorni. Lei avrà seguito il conclave e ascoltato il discorso di Papa Prevost. Le sono piaciuti i ripetuti riferimenti alla pace?
Sì, ho seguito qualcosa. Sui riferimenti alla pace… beh, sono belle parole, certo. Ma diciamocelo: cosa può fare davvero un Papa per la pace? Anche Francesco ne parlava spesso, ed è sicuramente meglio parlare di pace che di guerra, ma alla fine restano parole. La pace o la guerra la decidono quelli che hanno eserciti e soldi, non certo il Papa. Paradossalmente uno come Trump può parlare di pace con più peso, perché ha leve di pressione concrete, che sia verso l’Ucraina o la Russia. Il Papa può solo fare appelli. Ma, alla fine, chi li ascolta? Anche perché, diciamolo, né i russi né gli ucraini sono in gran parte cattolici.
Secondo lei quindi il Papa non ha un'influenza concreta sulla situazione internazionale.
No, non su questo fronte. È giusto parlare di pace, ma va vista per quello che è: una posizione etica, un'espressione di un sentimento popolare, più che un intervento reale.
E sul nome da Pontefice scelto da Prevost, Leone XIV?
Sinceramente, mi sembra una scelta deludente. Si parla di Leone Magno, ma si richiama anche Leone XIII. E Leone XIII fu un Papa reazionario. È famoso per essersi indignato quando il governo italiano decise di installare la statua di Giordano Bruno in Campo de’ Fiori. Minacciò addirittura di andarsene in esilio in Austria per protesta. Non è esattamente un esempio ispiratore.
Però Leone XIII fu anche il Papa della Rerum Novarum, no?
Sì, ma anche lì… prese posizione contro il comunismo e solo parzialmente contro il capitalismo. Insomma, una posizione centrista, come quella della Democrazia Cristiana che poi effettivamente si ispirò molto a lui. Dopo papi come Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e persino Ratzinger, tornare a un’ispirazione ottocentesca mi pare un passo indietro. Insomma, la scelta del nome di Prevost mi sembra piuttosto problematica e sarei cauto nell'esultare. Poi, a livello strettamente umano, sembra una persona gentile, molto misurata. Però mi ha colpito che ieri, dal balcone, abbia letto un discorso scritto. Di solito i Papi improvvisano un saluto, lui no: si è preso il tempo per scrivere e leggere quattro pagine. Dà l’idea di essere un burocrate, più che di un pastore carismatico. E non dimentichiamoci che guidava la Congregazione dei Vescovi: conosce la macchina vaticana, e questo sicuramente ha pesato nella sua elezione.

Pensa che il suo pontificato sarà in continuità con Papa Francesco?
No, credo proprio di no. L’ha dimostrato subito: Francesco aveva rotto con molti cerimoniali, si presentò al mondo in modo semplice, col solo abito bianco. Questo nuovo Papa invece è tornato ai paramenti tradizionali, alla mozzetta, al latino. È una marcia indietro. Comprensibile, forse anche necessaria per alcuni. Bergoglio era apprezzato e amato da molti perché sembrava essere un progressista, ma era anche un gran pasticcione, un Papa che ha combinato un sacco di guai perché diceva una cosa, il giorno dopo ne diceva un'altra e nessuno ci capiva nulla: penso ad esempio al tema della comunione ai divorziati, mai chiarito una volta per tutte e la cui decisione finale è stata delegata a vescovi e sacerdoti locali. Credo che Francesco sarà presto dimenticato e considerato un'anomalia. Con Leone XVI la Chiesa ha deciso di ricominciare a fare le cose "sul serio", come prima. È tornata al solito business…
E lei, seppur ateo, avrebbe preferito un altro Papa?
No, alla fine il Papa se lo scelgono loro, i Cattolici, ed è giusto sia così. Però sono contento che non sia un italiano. Un Papa italiano rischia sempre di interferire troppo nella politica del nostro Paese, come accadeva un tempo, quando Andreotti andava in Vaticano a prendere ordini per governare. Prevost almeno, essendo americano, si occuperà magari degli Stati Uniti, visto che già da vescovo si era espresso contro Trump. Che resti lì a sistemare le loro cose, dato che ne hanno bisogno, e lasci in pace l'Italia.