Figlio morì di tumore, a processo i genitori che lo curarono con fanghi e impacchi: “Andate negli ospedali”

Si è aperta oggi davanti alla Corte d’Assise di Vicenza l’udienza del processo a carico di Luigi Gianello e Martina Binotto, i genitori del 14enne morto per un tumore osseo dopo due anni di sofferenza e scelte difficili. I coniugi sono accusati di omicidio con dolo eventuale: secondo la Procura berica, avrebbero ritardato diagnosi e cure affidandosi a pratiche alternative prive di fondamento scientifico. L’udienza è stata subito rinviata a gennaio per un vizio di notifica relativo alla madre: prima si terrà una nuova udienza preliminare per lei, poi la sua posizione sarà riunita a quella del marito. Nessuno dei due era presente in aula.
L’inchiesta, condotta dal pm Paolo Fietta, era partita da una segnalazione dei servizi sociali. Il giudice per l’udienza preliminare, Giulia Poi, ha rinviato entrambi a giudizio lo scorso settembre, contestando l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale: non si tratterebbe quindi di una semplice negligenza, ma di una consapevole accettazione del rischio di morte del figlio.
La storia di questo sfortunato ragazzo comincia nel dicembre 2022, quando un forte dolore a una gamba porta alla diagnosi di osteosarcoma al femore. Dopo la conferma del Rizzoli di Bologna, i genitori rifiutano la chemioterapia e firmano le dimissioni, convinti da un medico padovano, Matteo Penzo, seguace del metodo Hamer, secondo cui le malattie derivano da “conflitti biologici” e non devono essere combattute ma comprese. Al posto delle terapie, impacchi di argilla e antinfiammatori naturali. Poi il trasferimento in centri “olistici” tra Toscana e Umbria, fino al ritorno a Vicenza, quando ormai per il 14enne non c’era più nulla da fare.
In un’intervista al Corriere della Sera, i genitori hanno ripercorso quel dramma, tra sensi di colpa e il bisogno di raccontare la loro versione. Nella casa di Costabissara, davanti a una foto del figlio sorridente, Luigi e Martina hanno descritto il dolore, la disperazione e l’illusione che li spinsero a credere in chi prometteva guarigioni miracolose. "Mi sono affidato a Penzo perché mi dava speranza – ha raccontato il padre –. Parlava di una malattia che aveva un senso, di un conflitto da risolvere. Non volevo perdere mio figlio, credevo di aiutarlo".
Martina, invece, ricorda la paura e la confusione: "Mi aspettavo una visita medica, e invece si parlava solo di conflitti interiori. Non sapevamo più a chi credere". Quando il figlio peggiorò, i genitori accettarono di portarlo all’ospedale di Perugia, dove finalmente si affidarono alle cure tradizionali, compresa la radioterapia. Ma era troppo tardi. "Se fosse stato chiaro prima, avremmo agito diversamente", ha ammesso Luigi.
Durante i mesi in ospedale, il giovane mostrò una forza sorprendente. Continuò a studiare, concluse la terza media e iniziò a seguire le lezioni del primo anno delle superiori. "È entrato adolescente e ne è uscito adulto", ricorda la madre. Dopo tre mesi, i medici consentirono il rientro a casa per le cure palliative. "Il 5 ottobre lo abbiamo riportato a casa – dice il padre –. Ogni giorno mi sembra ancora di sentirlo".
Oggi, i coniugi Gianello non credono più alla medicina di Hamer. "Abbiamo incontrato persone pericolose», ha ammesso Luigi. "Ora direi a tutti: andate negli ospedali, non affidatevi a chi promette guarigioni impossibili". Martina è ancora più netta: "Bisogna stare alla larga da Hamer. Se vuoi provare qualcosa, fallo per te stesso, non per i tuoi figli".
Il processo a Vicenza cercherà di stabilire se la loro fiducia nella ‘nuova medicina germanica‘ sia stata solo una tragica ingenuità o un comportamento penalmente rilevante. Ma al di là del verdetto, la vicenda di questo giovane resta una dolorosa testimonianza dei rischi legati alla diffusione di teorie pseudoscientifiche, che spingono troppe famiglie a diffidare della medicina e ad abbandonare cure salvavita in nome di false speranze.