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Cambiamenti climatici

Energie rinnovabili, industria, mobilità: come è messa l’Italia nella lotta ai cambiamenti climatici

Il professor Massimo Tavoni: “L’Italia sta sbagliando a non cogliere le opportunità che si stanno presentando: in tutti i Paesi in cui esportiamo la transizione energetica sta già avvenendo molto rapidamente. Ancorarsi su posizioni conservatrici che tendono a procrastinare il problema non è utile a nessuno”.
Intervista a Massimo Tavoni
Docente di economia del clima al Politecnico di Milano, Direttore dello European Institute on Economics and the Environment
A cura di Davide Falcioni
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"L'Italia è molto indietro su tutti gli indicatori più importanti: dalla crescita delle energie rinnovabili alla mobilità ed edilizia sostenibili, dall'efficienza energetica alle politiche industriali. La transizione energetica è una straordinaria opportunità di sviluppo, ma la stiamo perdendo". A dirlo, intervistato da Fanpage.it, il professor Massimo Tavoni, docente di economia del clima al Politecnico di Milano, Direttore dello European Institute on Economics and the Environment, nonché uno dei mille scienziati del clima più influenti al mondo secondo una recente classifica pubblicata da Reuters.

Alla fine dell'estate più calda della storia – giugno, luglio e agosto 2023 hanno fatto infatti registrare temperature record – è sempre più evidente l'impatto dei cambiamenti climatici; in questo quadro anche i Paesi del Mediterraneo sono molto esposti, come dimostra la catastrofe libica, dove decine di migliaia di persone sono morte a causa del ciclone Daniel che si è abbattuto sul Paese. Non c'è tempo da perdere, dunque. Eppure l'Italia continua a tergiversare.

Il professor Massimo Tavoni
Il professor Massimo Tavoni

Professore, la catastrofe avvenuta in Libia è stata finora la più grave del 2023 a livello globale. Cosa c’entrano i cambiamenti climatici e il riscaldamento del Mediterraneo?

Sull'attribuzione della tragedia libica ai cambiamenti climatici è necessario attendere i risultati di specifici studi scientifici. Quello che è certo, comunque, è che si è trattato di un evento meteo estremo, un fenomeno eccezionale dal momento che in pochi giorni è caduta una quantità d'acqua tra le 20 e le 30 volte superiore alla media di quella zona per il mese di settembre. Il disastro, in ogni caso, dimostra un fatto incontrovertibile: i cambiamenti climatici aumentano i rischi e le conseguenze possono essere letali in Paesi con capacità di resilienza e adattamento limitati. In Libia, ad esempio, due dighe non erano state adeguatamente manutenute. Gli effetti sono quelli che abbiamo visto. Decine di migliaia di morti.

Quello che abbiamo visto dall'altra parte del Mediterraneo, in Libia ma anche in Grecia, è anche il "nostro futuro"?

Il Mar Mediterraneo è un hotspot climatico e in quest'area del pianeta le precipitazioni complessive medie dovrebbero diminuire, a differenza di quelle globali che invece aumenteranno a causa del cambiamento climatico. L'intensità degli eventi meteo estremi come pioggia e siccità, tuttavia, aumenteranno ovunque, anche nel bacino mediterraneo, sopratutto  per intensità.

Decine di migliaia di persone sono morte in Libia
Decine di migliaia di persone sono morte in Libia

Secondo un rapporto Oxfam tre miliardi di persone entro il 2050 non avranno accesso a risorse idriche a causa della siccità. Cosa si sta facendo per evitarlo?

Oxfam non è una società scientifica bensì una confederazione di organizzazioni no profit, quindi non posso giudicare queste previsioni. Detto ciò, è vero che i Paesi più vulnerabili – e il caso della Libia è emblematico – sono a maggior rischio: si tratta delle nazioni in cui ci attendiamo la crescita demografica più forte in un contesto di minore capacità di adattamento. Insomma, non possiamo ancora sapere se davvero tre miliardi di persone non avranno accesso all'acqua perché dipenderà da vari fattori. Quel che è certo, comunque, è che i Paesi poveri – che sono anche quelli che hanno contribuito meno al cambiamento climatico – saranno particolarmente esposti.

La comunità scientifica da decenni chiede a tutti i Paesi del mondo di mettere in campo politiche di mitigazione del cambiamento climatico. Da questo punto di vista l’Italia sta facendo abbastanza?

L'Italia aderisce a un set di politiche di mitigazione europeo che prevede obiettivi chiari, definiti e molto ambiziosi entro il 2030. In Europa c'è già una legge, chiamata Climate Law, che impone la neutralità climatica entro il 2050. Insomma, il contesto europeo è senza dubbio positivo e speriamo che gli impegni assunti verranno rispettati. Per quanto riguarda l'Italia, siamo indietro su molti degli indicatori più importanti: crescita delle energie da fonti rinnovabili, riterritorializzazione, mobilità ed edilizia sostenibili (auto elettriche e pompe di calore), efficienza energetica e in generale politiche industriali.

Eppure capita spesso di ascoltare esponenti del governo italiano sminuire la portata dei cambiamenti climatici.

La portata del problema è ormai sotto gli occhi di tutti. Chi finge che va tutto bene sbaglia e finirà anche per perdere voti. Non solo la scienza, ma anche la nostra esperienza quotidiana è ormai chiarissima. Penso che l'Italia stia sbagliando a non cogliere le opportunità che si stanno presentando: in tutti i Paesi in cui esportiamo la transizione energetica sta già avvenendo molto rapidamente. Ancorarsi su posizioni conservatrici che tendono a procrastinare il problema non è utile a nessuno. Rimanere indietro nella grande "battaglia" mondiale sulle tecnologie verdi significa perdere enormi opportunità. Ricordo, peraltro, che non c'è solo il problema del clima: l'Italia conta 70/80mila morti all'anno per inquinamento atmosferico. Sono morti premature che possiamo e dobbiamo evitare investendo nelle fonti rinnovabili.

Alla  Cop27 del 2022 a Sharm el Sheik è stata decisa l’istituzione di un fondo sui danni e le perdite. Ci spiega a che punto siamo? I Paesi ricchi stanno rispettando gli impegni assunti un anno fa?

Alla Cop egiziana è stato deciso di istituire un fondo per le perdite e i danni che non sono "adattabili" al cambiamento climatico; a questi si aggiungono i fondi per l'adattamento e soprattutto quelli per la mitigazione, ovvero per la riduzione della CO2. Ebbene, a Sharm el Sheik  la proposta di cui si discuteva da tempo di un fondo Loss and Damage ha avuto una forte accelerazione: è stato creato un comitato di transizione, che avanzerà delle proposte concrete alla Cop di Dubai del 2023. Ci vorrà ancora del tempo per definire con esattezza la quantità di denaro necessaria; si tratta di un tema scientificamente molto complesso e a tal proposito l'European Institute on Economics and the Environment – che dirigo – ha un articolo in revisione che quantifica in circa 400 miliardi di dollari il fabbisogno necessario, da destinare ai Paesi a reddito basso e medio.

Una grossa discussione è quella riguardante chi dovrà sborsare questi soldi: le responsabilità del cambiamento climatico sono indubbiamente dei Paesi ricchi, ma è altrettanto vero che alcune nazioni emergenti a reddito medio-alto stanno dando un contributo crescente al problema. Penso, ad esempio, alla Cina e all'India. In che misura questi stati dovranno fare la loro parte? Se ne parlerà approfonditamente alla Cop di quest'anno.

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Quali sono gli interventi prioritari che i Paesi poveri dovranno mettere in campo una volta che verrà istituito il fondo loss and damage?

Per quanto riguarda l'adattamento gli interventi infrastrutturali prioritari sono quelli in agricoltura, ma anche gli aiuti alle famiglie più esposte e vulnerabili. Un altro discorso è quello sulle politiche di mitigazione: in molti Paesi in via di sviluppo i costi d'investimento sono altissimi a causa dei rischi d'impresa e vanno previsti strumenti di garanzia che permettano di abbassare i costi di finanziamento.

Un esempio pratico?

Un esempio positivo è stato l'accordo siglato a Glasgow tra il Sudafrica e l'Europa per la creazione di un fondo europeo che garantisca gli investimenti in energie rinnovabili e tecnologie a bassa CO2. Il Sudafrica è un Paese in via di sviluppo ed ha un enorme potenziale su solare ed eolico; i fondi di garanzia europei sono determinanti affinché la transizione energetica possa davvero essere compiuta.

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