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Dipendenti supermercato sfruttati: pagati 1,5 euro l’ora per 65 ore settimanali. Due arresti a Biancavilla

Turni estenuanti, stipendi da fame e nessun diritto: 37 dipendenti sfruttati in un supermercato del Catanese. Arrestati per caporalato e autoriciclaggio il legale e il direttore. Sequestrata l’azienda, evasi stipendi e contributi per oltre 2,7 milioni.
A cura di Biagio Chiariello
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immagine di repertorio
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Lavoravano anche più di 60 ore a settimana, ma venivano pagati poco più di un euro e mezzo l’ora. È l'amara realtà scoperta dalla Guardia di Finanza in un noto supermercato di Biancavilla, nel Catanese, dove 37 dipendenti – in molti casi giovani e in difficoltà economica – erano costretti ad accettare turni massacranti per stipendi da 700-800 euro al mese.

Le indagini, condotte dalla compagnia delle Fiamme Gialle di Paternò, hanno portato agli arresti domiciliari per il rappresentante legale e il direttore commerciale dell’azienda. Entrambi sono accusati di caporalato e autoriciclaggio. Intanto, la società è stata sottoposta a sequestro preventivo per un valore stimato di 3 milioni di euro.

Secondo gli inquirenti, i contratti dei dipendenti prevedevano un impegno di 40 ore settimanali, ma nella realtà molti lavoravano fino a 65 ore, senza ferie, senza tutele e con appena due giorni di riposo al mese. Le retribuzioni erano nettamente inferiori ai minimi stabiliti dai contratti collettivi, e in generale sproporzionate rispetto al lavoro effettivamente svolto.

Si parla di oltre un milione e mezzo di euro non corrisposti ai lavoratori negli anni, a cui si aggiunge l’omissione del versamento dei contributi previdenziali per circa 1.150.000 euro.

La Procura di Catania contesta ai due indagati anche gravi violazioni in materia di sicurezza sul lavoro, orari, riposi, ferie e aspettative obbligatorie. I lavoratori, spiegano gli investigatori, accettavano condizioni durissime perché privi di alternative concrete, schiacciati da una situazione economica difficile che li rendeva vulnerabili e ricattabili.

Nelle carte dell’inchiesta emerge anche il sospetto di autoriciclaggio: una parte dei guadagni ottenuti dallo sfruttamento dei dipendenti sarebbe stata reinvestita dallo stesso rappresentante legale della società.

Un sistema che, secondo la ricostruzione della Procura, andava avanti da anni, basato sull’abuso delle necessità altrui e sulla sistematica violazione dei diritti fondamentali dei lavoratori.

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