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Conflitto Israele-Palestina e in Medio Oriente

“Così la Flotilla dimostra che si può agire senza armi”: parla il presidente del Movimento Nonviolento

Mao Valpiana, direttore della rivista “Azione nonviolenta” fondata nel 1964 da Aldo Capitini: “La Global Sumud Flotilla ha un valore simbolico e politico enorme. Mostra che è possibile agire senza armi, con determinazione, contestando l’illegalità dell’assedio e attirando l’attenzione internazionale. Non è solo una sfida politica a Israele, ma anche culturale: mette in discussione l’idea che la forza militare sia l’unico linguaggio possibile nei conflitti”.
Intervista a Mao Valpiana
Attivista, presidente del Movimento Nonviolento e direttore della rivista "Azione nonviolenta", fondata da Aldo Capitini
A cura di Davide Falcioni
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Mentre la Global Sumud Flotilla naviga verso Gaza per rompere simbolicamente e concretamente l’assedio imposto da Israele, il calendario ci ricorda una data cruciale: domani, 2 ottobre, sarà la Giornata internazionale della Nonviolenza, istituita dall’ONU nel 2007 in occasione del compleanno di Gandhi. Un anniversario che oggi assume un significato particolare, nel pieno di un contesto internazionale attraversato da conflitti armati, escalation militari e retoriche belliciste sempre più pervasive.

La guerra in Ucraina, il genocidio a Gaza, l’aumento record delle spese militari e il ritorno della logica dei blocchi contrapposti sembrano relegare la parola "pace" a uno slogan fuori dal tempo. Eppure, in tutto il mondo, reti della società civile continuano a praticare la nonviolenza come strumento politico concreto, capace di denunciare ingiustizie e proporre alternative reali e soprattutto efficaci. Lo dimostra la stessa flottiglia internazionale che, con un’azione pacifica ma determinata, ha riacceso l’attenzione globale sull’assedio di Gaza, offrendo un esempio di diplomazia dal basso e di resistenza civile.

In Italia, una delle voci più autorevoli del movimento nonviolento è Mao Valpiana, storico attivista, presidente del Movimento Nonviolento e direttore della rivista "Azione nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini, filosofo, antifascista, educatore, considerato una delle figure più importanti del pacifismo e della nonviolenza in Italia. Da decenni Valpiana lavora per tenere viva una tradizione che non è affatto "debole" o velleitaria – come i suoi detrattori spesso sostengono – ma al contrario radicale, strategica e concreta. Alla vigilia del 2 ottobre, lo abbiamo intervistato per riflettere sull’azione della flottiglia, sull’efficacia delle pratiche nonviolente e sul ruolo che questi movimenti possono ancora avere nei conflitti di oggi.

Mao Valpiana
Mao Valpiana

La Global Sumud Flotilla sta navigando verso Gaza per portare aiuti e rompere simbolicamente l’assedio. Come valuta questa iniziativa dal punto di vista della tradizione nonviolenta italiana?

La considero un’iniziativa esemplare. È un’operazione umanitaria con un forte significato politico, condotta nel pieno rispetto della legalità internazionale. Leggo che qualcuno la definisce "disobbedienza civile"; ecco, io non sono d’accordo: bisogna dare profondità e senso alle parole. La vera disobbedienza, in questo caso, è quella del governo israeliano, che sta cercando di impedire la navigazione in acque internazionali senza averne alcuna legittimità giuridica. È Israele che viola il diritto del mare, non la flottiglia, che esercita semplicemente un diritto riconosciuto.

Gli obiettivi della Flotilla sono chiari e condivisibili: portare aiuti, offrire soccorso e, allo stesso tempo, rendere visibile un’ingiustizia profonda – quella dell’occupazione illegale, di terre e, in questo caso, anche di mare da parte di Israele. Non è la prima volta che accade: le flottiglie verso Gaza hanno una lunga storia e si inseriscono in un filone di iniziative civili di solidarietà internazionale. Quest’anno, però, c’è stato qualcosa in più: questa navigazione ha avuto un effetto immediato nel risvegliare consapevolezza, partecipazione, senso di coinvolgimento. Ha dato un segnale politico importante.

Viviamo anni dominati da retoriche belliciste e piani di riarmo. Si può dire che questa azione nonviolenta stia già mostrando una sua efficacia nello smontare certe narrazioni che si sono imposte?

Sì, perché ha una grande forza simbolica, che è uno degli elementi più potenti della nonviolenza. Detto questo, definire la flottiglia come "azione nonviolenta" in senso storico e classico richiede cautela: bisognerà valutarne fino in fondo metodi, esiti, risultati. Conosco bene la parte italiana della flottiglia, ma non altrettanto le altre componenti, e per un giudizio completo serve documentazione accurata. Quello che si può dire oggi è che si tratta di un’iniziativa pacifica, che non ha mai fatto ricorso alla violenza, che utilizza strumenti e tecniche propri della tradizione nonviolenta.

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Un’azione del genere comporta rischi molto alti, sia legali che fisici. Come ci si prepara, dal punto di vista nonviolento, a un confronto con una potenza militare come Israele?

Bisogna essere consapevoli che ci si confronta con una delle forze armate più potenti al mondo, capace di reazioni imprevedibili. Lo abbiamo visto nel 2010, con l’attacco alla Mavi Marmara e l’uccisione di dieci attivisti, anche in quel caso disarmati. Non ci si può improvvisare. Un’azione di questo tipo richiede una preparazione molto specifica, simile a quella che Gandhi organizzava per i suoi disobbedienti: per esempio nella "marcia del sale" – a cui qualcuno ha paragonato la Global Sumud Flotilla – i partecipanti erano stati attentamente selezionati e addestrati per mesi. Dovevano sapere affrontare lo scontro senza reagire con violenza, mantenendo disciplina e coerenza etica anche sotto provocazione e minaccia.

Qual è, oggi, il ruolo del Movimento Nonviolento di fronte a conflitti complessi come quello tra Russia e Ucraina e il genocidio di Gaza? In che modo la nonviolenza può incidere in un mondo così militarizzato?

La nonviolenza si esprime innanzitutto come obiezione di coscienza. Significa rifiutarsi di collaborare con il meccanismo che produce la guerra: non solo non combattere, ma anche non contribuire economicamente, culturalmente o politicamente alla macchina bellica. Capitini diceva che è più importante "non collaborare con il male" che "collaborare con il bene". È questo il cuore del nostro lavoro: preparare coscienze capaci di sottrarsi a un sistema ingiusto e violento, con lucidità e determinazione.

Per questo sosteniamo oggi gli obiettori di coscienza russi, ucraini, bielorussi e israeliani: persone che hanno detto "no" alla guerra mettendo in gioco la propria vita. Non sono eroi isolati: stanno indicando una strada che, domani, può e deve essere percorsa da molti di più.

In Italia e in Europa non sono mancate negli ultimi anni mobilitazioni pacifiste, ma non hanno avuto la forza di incidere sulle scelte politiche. Come mai?

Per due motivi principali. Il primo è la tardività: spesso ci si muove quando la guerra è già scoppiata, e in quei momenti la capacità di incidere è ridotta. Il secondo è la frammentarietà: molte mobilitazioni sono estemporanee, iniziano e finiscono nel giro di pochi giorni. Sono comunque positive – meglio che ci siano che non ci siano – ma non bastano a cambiare le cose.

La vera forza sta nel lavoro quotidiano e continuo, nelle campagne strutturate: contro l’aumento delle spese militari, contro i "killer robots", per l’obiezione di coscienza, per la difesa civile non armata e nonviolenta. Sono queste le iniziative che costruiscono un’alternativa concreta e duratura. Le grandi manifestazioni hanno senso se si inseriscono in percorsi politici coerenti. Se restano eventi isolati, servono più a "mettere a verbale" un dissenso che a ottenere risultati reali.

In questo quadro, che valore assume la Global Sumud Flotilla?

Ha un valore simbolico e politico enorme. Mostra che è possibile agire senza armi, con determinazione, contestando apertamente l’illegalità dell’assedio e attirando l’attenzione internazionale. Non è solo una sfida politica a Israele, ma anche culturale: mette in discussione l’idea che la forza militare sia l’unico linguaggio possibile nei conflitti. È per questo che va sostenuta e osservata con attenzione. Può diventare un esempio concreto di come la società civile internazionale può intervenire con strumenti nonviolenti, coraggiosi e legittimi. E questo, oggi, è un messaggio dirompente.

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