Cosa sta succedendo tra USA e Venezuela: i motivi dietro le accuse di Trump a Maduro e i possibili scenari

Le tensioni tra Stati Uniti e Venezuela sono tornate ai massimi livelli dopo i ripetuti attacchi delle forze armate USA a imbarcazioni venezuelane al largo del Paese caraibico: l'ultimo risale a ieri, quando un raid aereo ha provocato la morte di tre persone a bordo di una nave sospettata di essere dedita al trasporto di stupefacenti. L'azione è stata confermata dal Capo del Pentagono, Pete Hegseth, in una dichiarazione rilasciata tramite un post sul social network X.
L'attacco rientra in una serie di operazioni condotte dalle forze armate statunitensi in acque internazionali contro presunti obiettivi legati al narcotraffico, ma in un'intervista rilasciata alla Cbs Donald Trump ha ammesso che i veri obiettivi sono ben altri, sostenendo che i giorni del leader di Caracas Nicolás Maduro "sono contati" ma negando la possibilità di una guerra imminente. Trump ha ribadito che lo scopo degli Stati Uniti è quello di "liberare" il popolo venezuelano da un regime "corrotto e ostile agli interessi americani". Insomma, il capo della Casa Bianca ha evocato un golpe, senza troppi giri di parole.
Le sue dichiarazioni arrivano in un momento in cui Washington ha aumentato la propria presenza militare nei Caraibi, con oltre 15 attacchi contro imbarcazioni sospettate di narcotraffico. Le operazioni hanno causato decine di vittime, ma finora gli Stati Uniti non hanno presentato prove che le navi colpite fossero effettivamente coinvolte nel traffico di stupefacenti. Maduro ha replicato accusando la Casa Bianca di voler usare la "guerra alla droga" come pretesto per provocare un cambio di regime e prendere il controllo delle risorse energetiche del suo Paese. Il Venezuela, va ricordato, detiene le maggiori riserve provate di petrolio al mondo: circa 303 miliardi di barili stimati al 2023.

I motivi dietro la crescente tensione tra Usa e Venezuela
Secondo diversi analisti, la narrativa della "lotta al narcotraffico" nasconde in realtà un disegno geopolitico più ampio. Come nei giorni scorsi ha spiegato il professor Mattia Diletti della Sapienza di Roma, intervistato da Fanpage.it, gli Stati Uniti stanno perseguendo una "dottrina Monroe 2.0″, con l’obiettivo di riaffermare la propria influenza in America Latina e limitare la penetrazione di Russia e Cina nel continente.
"La lotta alla droga – spiega Diletti – è sempre stata il grande pretesto con cui gli Stati Uniti hanno giustificato la propria presenza militare e d’intelligence in America Latina. È un copione che risale all’era Reagan, ma anche a prima. Il caso più emblematico fu la Colombia: lì Washington giustificò la propria presenza con la guerra alla cocaina, ma in realtà si trattava di sostenere i governi impegnati a frenare le forze armate rivoluzionarie come le FARC. Dietro la retorica della droga c’era la volontà di mantenere un controllo geopolitico e militare nella regione. E anche oggi è così: perfino la scelta dei ‘target', degli obiettivi militari, appare pretestuosa. Di recente un ammiraglio USA, Alvin Holsey, ha rassegnato le dimissioni sostenendo che molte delle navi e dei bersagli individuati dagli Stati Uniti al largo del Venezuela non avevano un legame reale con il traffico di stupefacenti. Segno che, più che una guerra alla droga, si tratta di un’operazione di pressione politica".
Cosa dice il World Drug Report 2025 dell'ONU sul Venezuela
Anche i dati diffusi dalle Nazioni Unite sembrano smentire la descrizione del Venezuela come un "narco-stato". Nel World Drug Report 2025 dell’UNODC, il Paese caraibico non viene accusato di complicità governativa nel traffico di droga. Il rapporto descrive piuttosto il Paese come crocevia geografico delle principali rotte della cocaina prodotta in Colombia e in parte in Perù, diretta verso i Caraibi, gli Stati Uniti e l’Europa. In altre parole, il Venezuela è parte di un sistema di transito regionale, non un attore politico centrale del narcotraffico. Una distinzione che indebolisce la narrativa americana di un "regime narco-terrorista" da abbattere.
La lettera di Maduro a Vladimir Putin
Secondo il Washington Post, di fronte all’aumento delle manovre militari statunitensi, Maduro ha chiesto assistenza militare a Russia, Cina e Iran. In una lettera indirizzata a Vladimir Putin, il leader venezuelano avrebbe chiesto il sostegno di Mosca per rafforzare la difesa aerea del Paese, compresa la riparazione di caccia Su-30MK2, la revisione di motori e radar e la fornitura di 14 set di missili russi.
Parallelamente, Maduro avrebbe scritto al presidente Xi Jinping chiedendo una cooperazione militare ampliata e l’accelerazione della produzione di radar cinesi per potenziare le capacità difensive venezuelane. Sul fronte iraniano, il ministro dei Trasporti Ramón Celestino Velásquez avrebbe coordinato la consegna di droni a lunga gittata, jammer GPS e sistemi di rilevamento passivo.
Il 26 ottobre, un aereo da trasporto russo Il-76, sanzionato da Washington nel 2023 per traffico d’armi, è atterrato a Caracas dopo aver aggirato lo spazio aereo europeo. L’arrivo è coinciso con la ratifica di un nuovo accordo strategico Russia-Venezuela, che include cooperazione militare, infrastrutturale ed energetica.
I possibili scenari e il rischio di una nuova guerra
La crisi tra Stati Uniti e Venezuela sembra destinata a protrarsi, oscillando tra pressioni diplomatiche e minacce militari più concrete. Per Trump e i suoi sostenitori, oltre il pretesto della lotta al narco-traffico Caracas è il simbolo di un continente da assoggettare all’influenza americana; per Maduro, invece, la crisi potrebbe essere l’occasione per consolidare i legami con Mosca, Pechino e Teheran.
In questo quadro un intervento diretto degli USA – seppur descritto da Trump come improbabile – non è impossibile. Anche un incidente – come un attacco non autorizzato o un errore di calcolo – potrebbe trasformare la tensione in scontro aperto, con conseguenze imprevedibili per l’intera regione.