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Opinioni

Cinque regali perfetti per la Festa della donna

Auguri, mimose? No grazie. I cinque regali che le donne vorrebbero ricevere l’otto marzo sono altri. E non dovrebbero nemmeno essere dei regali, visto che sono dei diritti.
A cura di Jennifer Guerra
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Si sa, le donne sono diventate sempre più esigenti. Non si può neanche più festeggiare in pace la “Festa della donna”. Oggi tutte sono pronte a ricordare, col ditino alzato, che non si chiama “Festa”, ma “Giornata internazionale della donna” e che è una celebrazione ufficialmente riconosciuta dall’Onu nel 1977. E guai a nominare il famoso incendio della fabbrica tessile di New York! È una convinzione errata, perché un incendio alla fabbrica Triangle di New York in cui morirono soprattutto operaie immigrate c’è stato, ma il 25 marzo del 1911 e non l’8. Come se non bastasse, poi, nel pieno spirito killjoy del femminismo, ora non si può più neanche fare gli auguri alle donne, che si offendono. “Oggi è una giornata di lotta, non è il mio compleanno!”, tuonano le solite estremiste. “È una giornata nata nella Russia rivoluzionaria per ricordare i sacrifici delle donne che si opposero alla Prima guerra mondiale, e poi adottata dall’Udi, l’Unione donne italiane, nel Dopoguerra!”. Sarà anche vero, ma io volevo solo regalare una mimosa alla mia fidanzata, ma ora lei dice che è stufa di ricevere fiori, vuole cose concrete. E si è arrabbiata pure per il post che ho scritto su Facebook, dove dico che l’8 marzo per me è tutti i giorni, e che io le donne le rispetto e le amo tutto l’anno! Insomma, non va bene niente! Ma esiste, di grazia, qualcosa che le donne vorrebbero ricevere oggi?

La parità salariale

Nonostante sia vietato dalla Costituzione, dallo Statuto dei lavoratori, dal Codice delle pari opportunità, dalla Convenzione sull’uguaglianza di retribuzione per un lavoro di valore uguale dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) e anche da una recente legge approvata a novembre 2021, le donne continuano a essere pagate meno degli uomini. Secondo il Global Gender Gap Report del Forum economico mondiale, le donne sono retribuite il 12% in meno degli uomini, percentuale che varia a seconda dei criteri presi in considerazione: per l’Ilo, il divario tra uomo e donna è dell’8% e arriva all’11% se si considera il “factor weighted gender pay gap”, che conteggia, insieme alla paga oraria media, anche il livello di istruzione, la tipologia di contratto (part time o full time) e il settore, pubblico o privato. L’Eurostat è invece più generosa e conteggia un gap del 4%, che si spiega però con il fatto che negli ultimi anni i salari nel nostro Paese sono rimasti schiacciati verso il basso, riducendo le differenze di genere. Ma anche se le cifre sono diverse, tutte evidenziano che un divario esiste e che esso si spiega con i numerosi problemi di accesso al lavoro, di segregazione delle professioni, di mancata tutela della maternità, di carico del lavoro di cura.

Un congedo di paternità di 3 mesi

Più che un regalo alle donne, questo dovrebbe essere un regalo agli uomini, ma ancora manca una sensibilità diffusa su questo tema. Eravamo arrivati molto vicini all’obiettivo con l’ultima legge di bilancio, quando era stato annunciato in pompa magna che il congedo di paternità obbligatorio per i dipendenti privati che ora è di 10 giorni sarebbe stato allungato a tre mesi nella legge Family Act. All’ultimo, però, il governo ha accantonato il progetto confermando ancora una volta che la genitorialità nel nostro Paese coincide solo con la maternità, costringendo le neomamme a dover scegliere tra famiglia e carriera. L’Italia resta così uno dei Paesi più retrogradi sotto questo punto di vista, mentre in Svezia e in Germania i tempi per madri e padri non solo sono equiparati, ma possono essere scambiati e condivisi in base alle esigenze del momento.

Il riconoscimento di endometriosi, vulvodinia e neuropatia del pudendo

Endometriosi, vulvodinia e neuropatia del pudendo sono malattie invisibili, che pur essendo diffuse nella popolazione (interessando il 10-15% nel caso dell’endometriosi e il 16% in quello della vulvodinia) sono ancora poco studiate se non addirittura sono considerate malattie rare. Queste patologie possono comportare dolore cronico invalidante, diagnosi molto lunghe e difficili e moltissimi costi a carico dalle pazienti, dalle visite specialistiche alle terapie farmacologiche. Lo scorso novembre è stata presentata con un convegno alla Camera dei deputati una proposta di legge per il riconoscimento della vulvodinia e della neuropatia del pudendo come malattie croniche e invalidanti, chiedendone l’inserimento nei livelli essenziali di assistenza.

La copertura del 33% negli asili nido

Attualmente, solo un bambino su quattro trova posto negli asili pubblici e privati. La carenza di posti, specialmente al Sud, costringe le donne che mancano di una rete familiare o che non hanno le risorse economiche per assumere una baby sitter a lasciare il proprio posto di lavoro. Questa cifra è al di sotto dello standard europeo del 33% e la copertura è particolarmente bassa nel settore pubblico, dove solo il 12% dei bambini trova posto. In Piano nazionale di ripresa e resilienza sembrava l’occasione perfetta per colmare questo gap, stanziando 3 miliardi di euro per la costruzione di nuove scuole. Ma il bando, che è stato prorogato fino alla fine del mese, ha ricevuto poche richieste, col rischio di bruciare un miliardo e mezzo di euro. La questione degli asili nido potrebbe avere un ruolo cruciale nel risolvere il problema dell’occupazione femminile: secondo una simulazione di InGenere, se si riuscisse ad arrivare all’obiettivo europeo, si creerebbero dai 137mila ai 190mila posti di lavoro per le donne.

L’aggiornamento della legge 194/78

La legge che ha depenalizzato l’aborto è stata approvata ormai 44 anni fa e ha bisogno di essere aggiornata, perché in 44 anni il Paese e la società italiana sono cambiati. Nessuno però ha il coraggio di mettere mano a questo provvedimento, nonostante i suoi limiti siano sempre più evidenti, in particolare per quanto riguarda l’obiezione di coscienza. Inizialmente introdotta per tutelare i medici cattolici all’indomani dell’approvazione della legge, l’obiezione di coscienza negli anni si è trasformata in uno strumento di abuso che impedisce alle donne di usufruire a un servizio sanitario essenziale. Il 70% dei medici non vuole praticare aborti (in un Paese sempre meno religioso) e si è creato un sistema per cui dichiararsi obiettori è più conveniente in termini di carriera professionale. Non esistono limiti alla presenza di obiettori negli ospedali, come invece accade negli altri Paesi europei, e non c’è nessuna trasparenza sui dati: l’unico modo per sapere se un medico di un dato ospedale è obiettore è fare una richiesta di accesso agli atti amministrativi. È ora di aggiornare questa legge.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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