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“Chiedo scusa alla mamma di Aldrovandi”, parla il poliziotto condannato

Paolo Forlani, uno dei quattro agenti condannati per la morte del giovane ferrarese nel 2005, torna sulle offese rivolte alla madre di Aldrovandi su Facebook e dice di aver “preso coscienza dell’errore compiuto: sono frasi sciagurate di cui mi vergogno”.
A cura di Biagio Chiariello
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Federico-Aldrovandi-ucciso

Troppe le polemiche, troppe le condanne (al di là di quelle concrete comminate dai tribunali). Alla fine Paolo Forlani, uno dei poliziotti che ha ucciso Federico Aldrovandi nel 2005, si è scusato per gli insulti rivolti su Facebook alla madre del giovane. In una lettera inviata all’Ansa, l’agente chiede «perdono» per aver apostrofato la signora Patrizia Moretti con frasi «vergognose e offensive», secondo il Ministro dell'Interno, Cancellieri, intervenuta direttamente nella vicenda, attraverso un procedimento disciplinare contro l'agente che insieme a Monica Segatto, Enzo Pontani, Luca Pollastri, dovrà scontare (solo) 6 mesi di carcere per la morte del 18enne grazie all'indulto.

Voglio chiedere perdono per quel mio contegno estemporaneo ed assurdo alle persone che ho citato nei miei messaggi; non è per le conseguenze che potrà portare questo mio atteggiamento che chiedo scusa, ma per la reale presa di coscienza dell’errore commesso qualche giorno fa, unito all’esigenza di riprendere quel contegno silenzioso e rispettoso che ho mantenuto sempre, dal settembre 2005 sino a questi giorni”.

Il poliziotto giustifica le sue parole contro gli Aldrovandi, parlando di «uno stato di sconforto e di smarrimento assoluti» che ha provato dopo il verdetto (definito più volte «ingiusto» sulla bacheca Facebook del gruppo Prima Difesa Due, che ora non esiste più) della cassazione e «le varie esternazioni mediatiche nei nostri confronti», stato d’animo «che mi ha portato, l’indomani, ad esternare via web commenti e frasi sciagurate, di cui mi vergogno, all’indirizzo di persone direttamente colpite dalla vicenda». E ancora Forlani, prova a interpretare le sue espressioni sulle quali è intervenuto duramente anche Beppe Grillo, come « il frutto di una pressione che è gravata su di me per sette anni, durante i quali invano ho cercato di esprimere le mie ragioni». Ma alla fine è arrivata «l'ennesima e decisiva sconfitta» quella della Corte di Cassazione. Il risultato è stato «un comportamento irragionevole, in preda alla rabbia verso chi non mi ha mai ascoltato e non ha capito quanto dolore avessi provato per la tragedia che era successa in via Ippodromo rispetto alla quale avevo sempre protestato la mia assenza di responsabilità».

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