192 CONDIVISIONI

Cala Cimenti, la moglie Erika lo ricorda: “Sono arrabbiata perché volevo morire con lui”

La moglie di Cala Cimenti ricorda il marito deceduto l’8 febbraio in seguito a una valanga. “Non sono arrabbiata con lui o con la montagna – racconta Erika -. Non ho mai voluto cambiarlo, volevo solo morire con lui sotto la neve. Non mi sento fortunata. Quel giorno avrei dovuto andare anche io con lui”
A cura di Gabriella Mazzeo
192 CONDIVISIONI
Immagine

Vivere accanto a Cala, all'anagrafe Carlalberto Cimenti, è stato come vivere in un film. Questo è quello che racconta Erika di suo marito, atleta morto in seguito a una valanga lungo i pendii della Cima del Bosco, l'8 febbraio scorso. Racconta un uomo allegro, felice e sempre buffo nel modo di muoversi, parlare ed entusiasmarsi per qualunque cosa. "Che cosa paradossale – racconta in un'intervista al Corriere della Sera – È morto nel parco giochi di casa sua, con tutte le cose pericolose che ha fatto in giro per il mondo". Cala è stato un bambino prodigio dell'alpinismo: a soli 12 anni aveva scalato il Monte Bianco con il padre Charlie. Fu il primo italiano a conquistare il Snow Leopard per aver scalato tutte e cinque le cime oltre i 7000 dell'ex Unione Sovietica. Fu anche uno dei pochi a mettere piede sul Naga Parbat, una delle montagne più pericolose al mondo.

"Cala viveva come se non ci fosse tempo – ricorda la compagna Erika -. Ogni tanto mi diceva: quando avremo figli dovranno viaggiare, studiare e fare sport. Non mi ha mai detto: quando saremo vecchi". Dice di non aver mai pensato di chiedergli di cambiare vita: Cala era nato per il rischio e amava quello che faceva. Fare i conti con la sua assenza resta tragico: mille notti insonni da quando Cala non c'è più. "Avrei voluto più tempo. Avrei voluto quel bambino, i viaggi, quei progetti futuri. Non sono arrabbiata né con lui né con la montagna: avevo messo in conto potesse morire, ma non adesso e non così. Avevamo ancora troppe cose da fare.

Immagine

Proprio la passione per l'alpinismo li aveva fatti conoscere: nel 2015, alla fine di una storia che l'aveva fatta soffrire, viene convinta da un amico comune a chiedergli l'amicizia sui social network. Lui aveva accettato e le aveva scritto appena aveva visto le sue foto in montagna. Qualche giorno di chiacchiere, poi i due si erano incontrati a casa di lui. Erika ricorda un uomo che faceva fatica a sentirsi tale ed era rimasto, nei fatti, un bambino iperattivo. Dell'incidente ricorda principalmente che avrebbe dovuto essere con lui quel giorno. "Una collega si è presa il Covid e sono rimasta in quarantena. Cala e Patrick sono andati senza di me. Avrei voluto morire con lui: so di fare un torto alla mia famiglia, ma oggi non mi sento fortunata. Sono solo arrabbiata perché non ero lì con lui". Sei anni vissuti insieme finiti con un paio di telefonate e una valanga.

Per chiederle di sposarlo, si era inginocchiato a 5mila metri di quota, in Nepal. Cala aveva con se una collana: si era inginocchiato e l'aveva porta a Erika. Si sposarono in breve tempo, come se fosse un avvenimento da poco, in fin dei conti. Niente viaggio di nozze, perché Cala doveva partire per una spedizione. E tutte le volte che partiva, lei contava le ore che mancavano al ritorno. Le ceneri di Cala sono destinate al Nepal: quella era casa sua, spiega Erika. Una parte lì e una parte sul Rocciamelone, la sua montagna del cuore in Piemonte.

192 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views