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Blitz contro clan Scalisi di Adrano, 10 fermi: così il reggente voleva uccidere gli assassini del figlio 17enne

Sono state arrestate 10 persone del clan Scalisi di Adrano. Il reggente del clan, Pietro Lucifora, ora in manette, avrebbe infatti orchestrato un piano per assassinare i responsabili della morte di suo figlio 17enne ucciso nell’aprile 2025.
A cura di Gabriella Mazzeo
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Un piano per uccidere i killer che avevano assassinato il figlio 17enne nella notte del 20 aprile 2025 a Francofonte (Siracusa). Per il progetto omicida sono stati fermati 10 esponenti del clan mafioso Scalisi di Adrano. Il reggente del clan, Pietro Lucifora, avrebbe infatti orchestrato una vendetta, un piano per assassinare coloro che uccisero il figlio Nicolò Alfio Lucifora nell'aprile del 2025.

Pochi giorni dopo quell'omicidio, era stato arrestato un ragazzo che aveva confessato l'accoltellamento. Nonostante questo, il reggente del clan sarebbe stato determinato ad assassinare i responsabili, compreso il giovane in carcere. Nella vendetta sarebbe stato coinvolto anche il fratello del 17enne, Mario Lucifora, e lo zio Pietro Schilirò.

Per uccidere i responsabili della morte dell'adolescente, sarebbe dovuto partire da Chieti un vero e proprio commando di uomini armati. Uno dei sicari avrebbe dovuto indossare una finta divisa da carabiniere e guidare un furgone senza gps per evitare di essere tracciato. L‘agguato si sarebbe dovuto compiere nel Siracusano, ma non sono stati identificati tutti gli obiettivi della vendetta del clan.

Durante le perquisizioni domiciliari, le autorità hanno sequestrato 550 grammi di cocaina nell'abitazione di Lucifora, una pistola senza matricola nell'appartamento di un altro complice, tale Angelo Gemellaro, classe 1978 e due divise contraffatte dei carabinieri nel garage di Pietro Schilirò, zio del 17enne ucciso nell'aprile del 2025, a Chieti

All'operazione delle forze dell'ordine hanno preso parte oltre 150 agenti delle Questure di Catania, Napoli, Caserta, Nuoro, Sassari, Pavia, Siracusa, Udine, Taranto e Chieti, con il supporto dei Reparti di Prevenzione Crimine di Catania, Palermo e Siderno. Dalle indagini sarebbe inoltre emersa un'organizzazione criminale basata sulle comunicazioni tramite cellulari portati all'interno delle carceri illegalmente. Tramite i dispositivi elettronici, sarebbe stato possibile organizzare attività criminali all'esterno del carcere.

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