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Banca Etruria: le accuse agli ex vertici e al padre del ministro Boschi

Il Corriere della Sera scrive del documento di Bankitalia che ha messo nero su bianco le responsabilità degli ex vertici di Banca Etruria. Dodici contestazioni che chiamano in causa il padre del ministro delle Riforme e i manager.
A cura di S. P.
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L’atto di incolpazione di Bankitalia contro i vertici del consiglio di amministrazione di Banca Etruria e cinque componenti dell’organismo fa comprendere quali siano “le carenze nel governo, gestione e controllo dei rischi e connessi riflessi sulla situazione patrimoniale” che hanno portato l’istituto di credito all’insolvenza. A scriverne oggi è il Corriere della Sera, entrato in possesso del documento Bankitalia che ha messo nero su bianco le responsabilità degli ex vertici. Dodici contestazioni chiamano in causa l'ex presidente Lorenzo Rosi e i due ex vicepresidenti Alfredo Berni e Pierluigi Boschi, padre del ministro delle Riforme Maria Elena, e ancora i componenti del Cda Claudia Bugno, Andrea Orlandi, Luciano Nataloni, Luigi Nannipieri e Claudio Salini. Entro due mesi il Direttorio di Bankitalia si dovrà esprimere ufficialmente su eventuali sanzioni. Il Corriere scrive che tutti sono accusati di “inerzia nell’attivare adeguate misure correttive per risanare la gestione, provocando un ulteriore peggioramento della situazione tecnica, già gravemente deteriorata. Comportamento che ha provocato una significativa erosione delle esigue risorse patrimoniali, da tempo non in grado di soddisfare il previsto ‘capital conservation buffer’ del 2,5 per cento”.

Nella relazione sono elencati gli sprechi, gli abusi, e gli atti omissivi che hanno svuotato le casse di Banca Etruria e, dopo il decreto del governo, causato grosse enormi per azionisti e obbligazionisti. Le politiche messe in atto dai vertici nel 2014 avrebbero portato a una perdita di 517 milioni di euro in un solo anno. Sempre sul Corriere si legge che tra i principali addebiti al presidente e ai due vice c’è il mancato rispetto della delibera sulla riduzione degli emolumenti e anche la scelta di non proporre ai soci “l’unica offerta giuridicamente rilevante presentata dalla Popolare di Vicenza di un euro per azione, estesa al 90 per cento del pacchetto azionario”.

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