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“Avvocata, architetta armi di distrazione di massa”: cosa Ambra Angiolini non ha capito del femminismo

Dal palco del concerto del primo maggio, Ambra Angiolini ha definito la declinazione delle professioni al femminile ‘un’arma di distrazione di massa’. Un discorso in linea con la propaganda della destra che usa il benaltrismo per screditare le rivendicazioni sociali e politiche di chi lotta per un avanzamento sul piano dei diritti.
A cura di Natascia Grbic
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"Avvocata, ingegnera, architetta. Tutte queste vocali in fondo alle parole sono, saranno armi di distrazione di massa? Ci fanno perdere di vista i fatti". Questa la frase che ha pronunciato Ambra Angiolini dal palco del concertone del Primo Maggio a Roma, che poi si chiede: "Che ce ne facciamo delle parole?".

Un discorso, quello dell'attrice e conduttrice televisiva, cui siamo abituati da anni, frutto di un benaltrismo volto più a screditare una specifica parte politica piuttosto che ad aprire una discussione seria sui temi che si mettono sul piatto. Un discorso che, ci scommettiamo, sarà stato apprezzato anche dalla destra che adesso governa questo Paese.

Le battaglie femministe sul linguaggio sono tutt'altro che battaglie neutre. Il diritto a essere nominate e le necessarie lotte per un salario più equo non sono in antitesi tra loro, ma vanno di pari passo. Certe professioni un tempo venivano declinate al maschile semplicemente perché non era concesso alle donne occupare posizioni di potere. Non serviva nominare qualcosa che non esisteva e che si voleva tenere ben lontano da certi circuiti. Ora che anche le donne vi possono accedere hanno però il diritto a essere nominate e riconosciute.

Senza contare che avvocata, ingegnera, architetta sono parole grammaticalmente corrette nella loro declinazione al femminile, non ‘armi di distrazione di massa', e almeno questo Angiolini dovrebbe tenerlo in considerazione. E bisognerebbe chiedersi, prima di fare certi discorsi, come mai le polemiche saltino fuori solo quando si parla di professioni un tempo riservate agli uomini, mentre lo stesso problema non si ha quando si parla di maestra, sarta od operaia.

Da anni la destra usa l'arma del linguaggio per screditare le donne. Si tratta di un mezzuccio che abbiamo visto mettere bene in campo contro la deputata Laura Boldrini quando, da presidente della Camera dei Deputati, chiese di essere chiamata ‘la presidente' e non ‘il presidente'. Una richiesta non solo legittima, ma perfettamente in linea con le regole della grammatica italiana, che divenne il pretesto per una campagna d'odio alimentata da fake news non controllate e verificate. Si sparse la voce che Boldrini chiese di essere chiamata ‘presidenta' o ‘presidentessa': e a nulla sono serviti i richiami alla razionalità di chi chiedeva di riascoltare il discorso. La macchina del fango ormai si era messa in moto, pronta a investire in futuro tutte coloro che si rifiutavano di considerare il femminile un genere da disprezzare.

Un esempio più recente lo abbiamo avuto con Giorgia Meloni, che all'inizio della legislatura chiese di essere chiamata ‘il presidente del Consiglio'. Una richiesta che non solo cozza con la grammatica, che in qualsiasi vocabolario si consulti prevede il femminile ‘la presidente', ma che è tutto tranne che non ideologica. Disuguaglianza, emarginazione ed esclusione sono pratiche sociali concrete che la lingua traduce sul piano del parlato. Far finta che non sia così, o che ‘esistono problemi più importanti', vuol dire prestare il fianco alla destra e a quel pensiero reazionario che vorrebbe relegare la donna alla sfera domestica e a un ruolo subalterno.

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Giornalista dal 2013, redattrice alla cronaca di Roma di Fanpage dal 2019. Ho lavorato come freelance e copywriter per diversi anni, collaborando con vari siti, agenzie di comunicazione e riviste. Laureata in Scienze politiche all'Università la Sapienza, ho frequentato nel 2014 la Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio Basso.
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