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Guerra in Ucraina

“All’Italia serve un esercito pronto a combattere. Il mondo di prima è finito”: l’analisi del generale

Il generale Paolo Capitini: “La guerra in Ucraina ha dimostrato che in caso di un conflitto simmetrico e convenzionale un esercito professionale non regge a lungo. In questa prospettiva ripensare a parole antiche come ‘mobilitazione’, o ‘guardia nazionale’ iniziano ad avere un senso non solo teorico”.
Intervista a Generale Paolo Capitini
Docente alla Scuola Sottufficiali dell’Esercito di Viterbo, nonché reduce da missioni all’estero (Somalia, Bosnia, Kosovo, Ciad, Repubblica Centro Africana, Haiti e Libia).
A cura di Davide Falcioni
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Se la Russia dovesse sfondare la linea del fronte in Ucraina un invio di truppe occidentali a sostegno di Kiev non potrebbe essere escluso. A dirlo in un'intervista rilasciata all'Economist due giorni fa il Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron, che già nei mesi scorsi aveva apertamente evocato l'ipotesi di un intervento diretto del suo Paese contro la Russia.

Ma la Francia sarebbe in grado di sostenere da sola un impegno in Ucraina contro Mosca? Quale potrebbe essere il ruolo della NATO in questo scontro? E soprattutto, qual è lo stato delle forze armate italiane nello scenario che si è delineato dopo il 24 febbraio 2022?  Fanpage.it ne ha parlato con il generale Paolo Capitini, Docente alla Scuola Sottufficiali dell’Esercito di Viterbo, nonché reduce da missioni all’estero (Somalia, Bosnia, Kosovo, Ciad, Repubblica Centro Africana, Haiti e Libia).

Paolo Capitini
Paolo Capitini

Macron ha dichiarato che se la Russia dovesse sfondare la linea di difesa ucraina non esclude l’invio di truppe francesi.

Ci sarebbero molte cose da dire. Quelle parole, pronunciate dal Presidente della Repubblica francese in riferimento a una possibile evoluzione della situazione operativa in Ucraina, hanno un peso molto importante: la Francia sta dicendo che considera possibile l'ipotesi di inviare propri soldati in caso di sfondamento russo del fronte ucraino. A questo punto le domande che sorgono sono molteplici: la Francia si schiererebbe da sola o come membro della NATO? E cosa metterebbe a disposizione? Mezzi, equipaggiamenti, armamenti di alta gamma oppure addestratori e, perché no, unità di combattimento? Inoltre: siamo sicuri che la Francia si sia predisposta, anche numericamente, ad affrontare in Ucraina un tet-à-tet con l’Esercito russo in un combattimento di tipo classico? Intendo fatto di artiglierie, carri armati e reggimenti di fanteria che si affrontano direttamente sul campo.

A quest'ultima domanda come risponde?

Che sappiamo che la Russia ha già schierati nel solo fronte ucraino circa 300mila uomini, già reduci da oltre due anni di combattimenti reali e durissimi: è il doppio dei soldati di cui dispone l'intero esercito francese, anche nell’inverosimile ipotesi che venissero tutti mandati a combattere per Kiev.

Quello di Macron potrebbe essere stato un modo per indicare a Putin un limite da non superate? Come dire: il Donbas ormai è andato, ma non ci si spinga oltre.

Certo, è possibile, ma per sostenere un bluff del genere la Francia dovrebbe avere un adeguato peso militare almeno rispetto all’Armata di Putin. Mi spiego: se fossero gli Stati Uniti a schierare qualche corpo d'armata dietro il fiume Dnepr come a dire “Vladimir, adesso basta!” la faccenda avrebbe un certo significato. Se a farlo è invece la sola Francia c'è il rischio che Putin decida di "vedere" il bluff. E a quel punto che si fa? Rispetto agli altri Paesi europei Parigi non è certo nuova a uscite del genere: penso all'impresa del canale di Suez del 1956 insieme agli inglesi, come a tutte le diverse campagne nella Françafrique, dal Ciad al Mali, ma si tratta di tempi e di teatri molto, molto diversi da quanto si potrebbe trovare in Ucraina. Rimane in piedi un’ultima ipotesi, quella in cui Macron voglia gettare in avanti la palla non pensando davvero al combattimento, ma per dare una scossa agli altri paesi europei che, a parte la Polonia e gli stati baltici, non condividono con Parigi lo stesso entusiasmo nel vedersi direttamente coinvolti nel conflitto russo-ucraino.

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E che succede se dei soldati francesi vengono uccisi dai russi? Verrà considerato un attacco alla solo Francia o a tutta la NATO? E potrebbe scattare l’intervento di altri Paesi dell’Alleanza?

Una delle prime cose che insegnano nelle scuole di guerra è che quando è in atto un conflitto nessuna risposta è mai automatica: nessun Paese scende "automaticamente" in guerra, ma lo fa sempre dopo una lunga e complessa valutazione dei rischi da correre, dei vantaggi che potrebbe eventualmente ottenere e degli obblighi che non potrebbe eludere. Detto ciò, se soldati francesi venissero uccisi dai russi in una missione decisa dalla sola Francia e concordata bilateralmente con Kiev non credo ci sarebbero i presupposti per far scattare un intervento della NATO, che ricordo essere una alleanza difensiva che pone al centro l’integrità del territorio degli stati membri aggrediti da una potenza nemica.

Perché?

Primo: l'Ucraina non è un Paese della NATO, quindi non dovrebbe scattare il famoso "articolo cinque". Secondo: quella di mandare truppe sarebbe un'iniziativa esclusivamente francese, che attualmente non sembra essere concordata con altri Paesi dell'Alleanza Atlantica e neppure con la NATO in quanto tale. Come è già accaduto in passato in Ciad, in Mali o in Libia, quando i soldati transalpini sono stati attaccati non è mai scattato l'intervento NATO, e aggiungerei giustamente. C'è una sola eccezione, ma si tratta di un caso puramente teorico: vale a dire se la Russia, prendendo a pretesto la presenza di truppe combattenti francesi in Ucraina e magari rinforzando il concetto con le prove che queste stanno direttamente intervenendo contro truppe russe, decidesse in risposta di attaccare una nazione della NATO. Una piccola azione di ritorsione sarebbe certamente nelle capacità operative di Mosca. Tutt’altra cosa invece pensare di iniziare un conflitto, anche se localizzato e limitato con la NATO. È infatti innegabile che malgrado i proclami iniziali e le minacce attuali Mosca sta facendo una gran fatica a domare la resistenza ucraina e la possibilità di arrivare a un pari è tutt’altro che esclusa. Immaginarsi di rilanciare continuando la guerra in Ucraina e contemporaneamente aprire anche un fronte – anche se limitato – con la NATO. Ci sono modi migliori per suicidarsi.

Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Carmine Masiello ha dichiarato, in un'intervista al Corriere, che le forze armate italiane hanno bisogno di un rinnovamento radicale. Il nostro esercito sarebbe pronto ad affrontare un conflitto convenzionale?

No. E il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ha pienamente ragione su tutto: ha detto finalmente in pubblico quello che nell'Esercito si dice da molti anni, cioè che il mondo in cui credevamo di vivere che non esiste più. Il mondo della globalizzazione, quello, cioè, del "secolo americano" in cui si sarebbero dovute affrontare solo crisi locali, tra paesi falliti o signori della guerra. Quelle per le quali non si doveva neppure impegnare la parola “guerra”, ma la più tranquillizzante definizione di “operazioni per il mantenimento della pace”. Ebbene oggi anche l’uomo della strada si è accorto che il clima è completamente cambiato; il mondo unipolare non è mai nato e si sta pian piano manifestando un magmatico presente multipolare dove emergono potenze come la Cina, l’India, i BRICS e dove altre potenze, come la Federazione russa, lottano per mantenere o riguadagnare un posto di primo piano. Il Gen. Masiello ha solo ricordato a tutti che questo mondo impone a ogni Paese di poter contate su un sistema di difesa militare adeguato, pronto, reattivo e credibile. Per questo è indispensabile muoversi in direzioni diverse; verso la tecnologia, certo, con gli investimenti, sicuro, ma anche e soprattutto rimettendo l’uomo, il soldato, al centro.

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Cosa intende?

Occorre ripensare alla necessità di disporre di artiglieria, carri armati, blindati, sistemi contraerei e altro, ma soprattutto bisogna costruire un esercito che abbia soldati, non geometri, geologi, cuochi… servono uomini e donne addestrati al combattimento. Masiello, da primo responsabile dell’efficienza dell’esercito ha parlato di questo, indicando anche le vie da percorrere e i tempi ristretti che si hanno a disposizione. Un discorso chiaro, onesto, bilanciato e ineludibile che personalmente ho molto apprezzato.

Se è vero che all'Italia servono soldati potrebbe tornare l’obbligo di leva, inattivo dal 2005?

No, non credo. Ma la guerra in Ucraina ha dimostrato che in caso di un conflitto simmetrico e convenzionale un esercito professionale non regge a lungo. In questa prospettiva ripensare a parole antiche come “mobilitazione”, o “guardia nazionale” iniziano ad avere un senso non solo teorico.  Credo che l'Italia oggi, in tempo di pace, debba e possa organizzarsi per avere un piccolo esercito professionale e una riserva composta da una sorta di "guardia nazionale" all’americana. L'unica alternativa sarebbe la reintroduzione della leva obbligatoria: ma sarebbe un suicidio politico che è davvero troppo chiedere.

Come si troveranno decine di migliaia di soldati disposti a far pare di una riserva?

Prima di tutto si devono definire le esigenze organiche di questo “esercito di riserva” e quindi stabilire le modalità di reclutarlo senza necessariamente ricorrere all’obbligo. È quindi inevitabile parlare di incentivi economici, di vantaggi professionali o di premi per chi si arruola nella “riserva”, ad esempio con punteggi preferenziali per i concorsi nella Pubblica Amministrazioni o incentivi previdenziali o facilitando l’accesso ai prestiti bancari per la prima casa o cose del genere.

Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Carmine Masiello parla anche di "valori"…

Anche in questo caso c’è da dire "Era ora"! Fino ad oggi il concetto di difesa in Europa è stato interpretato in modo esclusivamente economico: paghiamo ed otteniamo in cambio sicurezza. Si tratta di un paradigma falsato e pericolosa: i soldi sono necessari, certo, ma non sono sufficienti. Occorre che la collettività rifletta davvero sui valori che la tengono insieme, valori come democrazia, solidarietà, libertà e pluralismo e che quindi si chieda quanto è disposta a pagare per preservarli e non parlo solo di denaro, ma di difenderli anche, se necessario, combattendo. D’altra parte è questo che indica la costituzione quando definisce "sacro" il dovere di ogni cittadino di difendere la Patria.

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