Alberto Trentini, la telefonata dal carcere in Venezuela. La madre: “Ci ha ridato speranza”

"Quella chiamata ci ha ridato il respiro. Ci ha restituito la voglia di vivere, che giorno dopo giorno si stava affievolendo, nonostante l'affetto e il sostegno continuo di tante persone". A parlare è Armanda Trentini, madre di Alberto, il cooperante italiano detenuto da mesi in Venezuela. Lo fa in un'intervista a Repubblica, raccontando l'emozione di una telefonata tanto attesa quanto inaspettata.
"Ci ha chiesto come stiamo, come sta suo padre. Ci ha detto che ci vuole un bene immenso, che ama profondamente la sua fidanzata e i suoi amici. Aveva poco tempo, ma ha voluto rassicurarci subito: sta bene, o almeno così dice. Sembra in salute".
La telefonata tra Alberto e la sua famiglia
A rincuorare il giovane, però, sono stati anche i familiari, che in pochi minuti hanno cercato di trasmettergli tutto il calore del mondo esterno: "Siamo stati noi a dirgli che fuori c'è un'Italia intera che si è mossa fin dal primo momento, e continua a farlo senza sosta per lui. Gli abbiamo assicurato che non è mai stato solo, mai abbandonato".
La madre vede finalmente un cambio di passo nella mobilitazione per la liberazione del figlio: "Credo che l'attenzione si sia alzata dopo l'interessamento dei media, della televisione, degli scrittori, e di tante persone che non hanno mai smesso di farsi sentire. Le telefonate del presidente Mattarella e della premier Meloni mi avevano già rincuorata. E l'incontro recente con l'onorevole Mantovano mi ha dato coraggio".
Non si è fermata nemmeno davanti alla più alta autorità venezuelana: "Giorni fa mi sono fatta forza e ho inviato una lettera al presidente Maduro. Ho chiesto che Alberto venga liberato. Mi auguro che possa leggerla con gli occhi di un padre".
Ora, grazie a quella voce al telefono, la forza sembra essere tornata: "Questa telefonata mi ha restituito l'energia per tornare a combattere, la speranza di riabbracciarlo presto. Ma, lo dico con chiarezza, bisogna fare in fretta".
Sono passati 182 giorni dalla scomparsa di Alberto. Sei mesi vissuti in apnea, fatti di attese, paure e dichiarazioni che a volte hanno fatto vacillare anche le certezze più salde: "I momenti difficili sono stati tantissimi. Soprattutto quando da alcune fonti governative ci veniva ripetuto che la situazione di Alberto era molto, molto complicata – e quel ‘molto' veniva sottolineato più volte. In quei momenti il mondo sembrava crollarci addosso. Ma non abbiamo mai voluto né potuto arrenderci".
Il caso di Alberto Trentini detenuto in Venezuela: cosa sappiamo finora
Alberto Trentini, cooperante italiano di 33 anni, è detenuto in Venezuela dallo scorso novembre. Era impegnato in progetti di solidarietà nel Paese sudamericano, dove operava con un’organizzazione umanitaria. Di lui si sono perse le tracce per giorni, finché non è stato confermato il suo arresto da parte delle autorità venezuelane, con accuse mai chiarite pubblicamente.
Da allora è rinchiuso in un carcere del Paese in condizioni incerte. La sua famiglia ha appreso della sua prigionia solo dopo settimane, in un clima di grande preoccupazione. L’Italia ha avviato canali diplomatici per ottenere chiarimenti e il suo rilascio, mentre cresce la mobilitazione di media, istituzioni e società civile per riportarlo a casa.