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Agguato col machete a Torino, il gip: Pietro Costanzia e il fratello volevano “spaccare” Oreste

I due rampolli della famiglia nobiliare piemontese, Pietro e Rocco Costanzia di Costigliole, 23 e 22 anni, restano in carcere accusati del tentato omicidio. Per il gip la loro “fu una rappresaglia mirata”. Pare che Oreste avesse mostrato le parti intime alla fidanzata del più grande e che questi volesse un “chiarimento”.
A cura di Biagio Chiariello
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Pietro e Rocco Costanzia di Costigliole
Pietro e Rocco Costanzia di Costigliole

Quella nei confronti di Oreste, il 23enne aggredito a Torino a colpi di machete, è stata una vera e proprio "spedizione" organizzata nei minimi particolari,  tanto da assumere i contorni di "una rappresaglia mirata". Non a caso i due aggressori, i fratelli Pietro e Rocco Costanzia di Costigliole, sarebbero andati casa della vittima già qualche giorno prima dell’agguato perché volevano "spaccare" il ragazzo che aveva fatto delle avance molto spinte alla fidanzata di Pietro.

Sono i particolari emersi dalle ordinanze con cui il gip Gloria Biale ha confermato la custodia cautelare in carcere per i due fratelli, Pietro e Rocco, accusati di tentato omicidio. Dettagli venuti fuori anche e soprattutto grazie alle testimonianze dei ragazzi coinvolti nella vicenda e ai messaggi degli smartphone sequestrati. "È impazzito, vuole farlo fuori", scriveva il 7 febbraio la ragazza di Pietro all’amica e compagna di O.B. Costanzia aveva infatti appena scoperto che qualche tempo prima Oreste aveva mostrato le parti intime alla sua fidanzata.

Il 23enne di origini nobili, soprannominato il ‘santo', voleva un chiarimento e per giorni avrebbe cercato il coetaneo non sapendo che si era trasferito nelle Marche, in una clinica per disintossicarsi. Dovrà attendere il 18 marzo per quel ‘chiarimento‘ che finisce malissimo, condannando Oreste all’amputazione della gamba sinistra.

"Pietro mi aveva chiamato intorno alle 16. Mi aveva detto di aver scoperto dove abitava quello là e che stava andando a spaccargli la faccia. Così io sono salito in auto e l’ho raggiunto per fare da paciere", ha raccontato un amico agli inquirenti, coordinati dai pubblici ministeri Davide Pretti e Mario Bendoni. "Sapevo che Pietro era lì con Rocco. E sapevo che aveva una mazza o qualcosa di appuntito. Comunque poi mi ha chiamato e mi ha detto di andare a casa. Così ho fatto".

Nessun dubbio per i gip sul fatto che il rampollo della famiglia nobiliare piemontese abbia premeditato l'attacco e si sia fatto aiutare dal fratello: sono arrivati insieme su un motorino scooter in via Panizza, zona Mirafiori, "con lo scopo di colpire a morte la vittima, sorprendendola alle spalle mentre, indifesa, si trovava sulla pubblica via insieme alla fidanzata".

Gli agenti della squadra mobile lo arrestano lo scorso mercoledì. In manette anche Rocco. Quest'ultimo avrebbe anche negato di sapere che il fratello maggiore avesse un machete: "Voleva dargli due sberle". Per i giudici in realtà "volevano uccidere" e la storia imbastita da Rocco è "inverosimile": "Se gli indagati avessero voluto semplicemente spaventare O.B. o dargli una lezione, non avrebbero avuto bisogno di organizzare nei dettagli l’incontro".

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