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A Padova eseguiti 7 trapianti in 36 ore: “Lottiamo per il Covid ma non arretriamo su altri fronti”

Ben sette trapianti effettuati in meno di due giorni. Una vera e propria maratona quella avvenuta presso l’Azienda Ospedale Università di Padova dove oltre 120 sanitari sono stati impegnati per 36 ore in sette trapianti di organo (pancreas, rene, cuore e polmone). Orgoglioso il presidente della regione Veneto Zaia: “Lottiamo per prevenire e curare il Covid, ma non arretriamo su nessun altro fronte”.
A cura di Chiara Ammendola
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Sette trapianti di organi in sole 36 ore sono stati eseguiti all'Azienda Ospedale Università di Padova. Una vera e propria ‘maratona' trapiantologica che ha visto impegnati complessivamente 120 operatori sanitari tra anestesisti, infermieri e chirurghi di più discipline. Un weekend da record iniziato sabato mattina e conclusosi domenica con 60 chirurghi che si sono alternati in diverse sale operatorie in trapianti di polmoni, cuore, reni e pancreas.

Nello specifico sono stati portati a termine un trapianto di cuore, due di polmone e altrettanti di fegato, un trapianto rene pancreas e uno di rene. I sette pazienti riceventi, sei italiani e uno straniero, di età i 35 e i 66 anni, sono attualmente monitorati,
sotto stretta osservazione clinica, in fase post operatoria. Immediato il commento del presidente della Regione Veneto, Luca Zaia: "Per la sanità veneta è stato un week end meraviglioso. Lottiamo per prevenire e curare il Covid, ma non arretriamo su nessun altro fronte. Un riconoscente ringraziamento ai trapiantisti padovani, alle decine e decine di uomini e donne che hanno trascorso il fine settimana a salvare vite e a ridare un futuro a chi non ne aveva".

"Le capacità cliniche dei nostri chirurghi – ha aggiunto Zaia – sono note in tutto il mondo ma, quando si parla di trapianti, c’è dell’altro: una macchina complessa e perfetta, che coinvolge cento persone per ogni processo di donazione e trapianto, che parte da un centinaio di telefonate che si intrecciano, dal doloroso processo che porta all’assenso dei famigliari del donatore, dall’immediata disponibilità di tutti i sanitari coinvolti, dall’attivazione delle equipes. E quando in sala operatoria si accendono le luci, l’impresa è compiuta. La precisione di un orologio svizzero non basta. Serve di più".

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