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L’Italia che promette e la Germania che aspetta i fatti: Merkel e i nostri governi

Angela Merkel dal 2011 ad oggi ha ascoltato tre presidenti del Consiglio italiani: Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi. Da tutti ha incassato promesse e a tutti ha detto (più o meno) sempre la stessa cosa.
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DAL CORRISPONDENTE DA BERLINO

La Germania esprime piena fiducia ed appoggio al premier italiano, dicendosi positivamente colpita dal piano di riforme proposto e messo in cantiere dalle autorità italiane al fine di migliorare le prospettive economiche del paese nell'ottica della stabilità e del rispetto degli accordi precedentemente presi. Ora, che i tedeschi non si distinguano per particolare creatività è cosa nota. Ma è davvero impressionante vedere come la cancelliera Angela Merkel usi lo stesso registro stilistico e soprattutto contenutistico quando l'ennesima passata di carte delle politica italiana le porta al cospetto questo o quel neo premier. “L'Italia ha intrapreso la strada giusta – ha affermato la leader tedesca durante il primo incontro ufficiale con un raggiante Enrico Letta, appena nominato capo dell'Esecutivo italiano il 30 aprile 2013 – . Il premier ha chiarito quali sono le misure da attuare e vorrei dire che dobbiamo continuare sulla strada già iniziate dalle istituzioni europee, quale il consolidamento fiscale e la riforma del mercato del lavoro, ma siamo convinti che una buona collaborazione possa migliorare la situazione economica”.Ma se si torna un po' più indietro nel tempo si trovano, di fatto, le stesse parole e dimostrazioni di stima: “Appoggio le riforme adottate dal governo di Mario Monti che hanno consentito un ritorno della fiducia degli investitori in Italia – affermò la Merkel nel gennaio 2012 quando l'ex commissario europeo venne in visita ufficiale a Berlino –. Dimostro ammirazione per quanto velocemente il nuovo Esecutivo abbia lanciato urgenti misure di budget e riforme strutturali al fine di ridare competitività all'economia italiana e migliorare le prospettive economiche del Belpaese”.

E il copione è stato ripetuto puntualmente anche ieri, durante la visita dell'attuale premier Matteo Renzi, quando l'esponente cristiano-sociale tedesca ha affermato: “Ho il piacere di salutare la visita del collega Renzi, qui per un incontro fissato già da tempo tra i nostri governi, che mi ha dato la possibilità di poter avere una chiara spiegazione di cosa voglia fare il nuovo governo italiano e sono molto impressionata da ciò. Si parla di una riforma strutturale e di un passaggio ad un programma di riforme, come mi ha spiegato il premier italiano, e voglio dire dal mio punto di vista che auguro ogni in bocca al lupo e successo”. In tutti e tre i casi è impressionante notare come il premier di turno, all'indomani dell'elezione al soglio chigino, si sia presentato al cospetto della Frau Merkel per dare delucidazioni sulle intenzioni del nuovo (o ennesimo), governo in carica. L'impressione di grande diffidenza da parte tedesca verso l'Italia, raccolta ieri da Fanpage durante l'incontro tra i due leader, trova in questo copione una probabile conferma. Perché al di là delle parole specifiche utilizzate, l'impressione è che i tedeschi si aspettino davvero poco dalla funambolica politica italiana e ancora meno dai suoi rappresentanti apicali. Cambiare governo, coalizioni e maggioranze con tale impressionante velocità rappresenta, di fatto, l'antitesi al paradigma tedesco definibile attraverso la parola: stabilità. Poco importano le credenziali di questo o quel premier, viste poi come sono finite (in malo modo) tali esperienze di governo. E appare finanche comprensibile un atteggiamento quanto meno attendista da parte degli statici alleati teutonici. La credibilità della politica italiana è così bassa anche perché, se si pensa agli altri paesi funestati dalla crisi, non si trova in realtà quali quella spagnola, greca o portoghese dove i governi in carica – tutti eletti dalle rispettive popolazioni a differenza di quelli italiani di Monti, Letta e Renzi – seppur tra mille contraddizioni e difficoltà rimangono legati al mandato elettorale.

In tutti e tre i casi, la cancelliera ha sempre sottolineato durante gli incontri pubblici, l'attenzione che l'Italia avrebbe prestato a rispettare i patti e mantenere gli impegni presi. Parole queste che hanno grande importanza politica, molto superiore alle “impressioni positive” o “all'essere estremamente colpita” da questa o quella proposta di riforma. Questo perché i legami commerciali tra i due paesi sono molto forti e il ruolo dell'Italia nell'Eurozona, a prescindere dalla sua istrionica e spesso macchiettistica classe politica, è ritenuto comunque fondamentale per il futuro dell'Unione. Nessuno, come qualcuno ventila in Italia, vuole Roma fuori da Maastricht, anzi. L'operosità degli imprenditori italiani è tenuta in grande considerazione e rispetto sia in Germania che in altre realtà europee. E leggendo attentamente le parole della Merkel emerge chiara, a parere di chi scrive, la dicotomia tra la fiducia verso il paese reale che – in qualche modo prova a rimboccarsi le maniche –, e la sua classe dirigente annegata nella burocrazia e nella corruzione. Durante il cancellierato di Gerhard Schröder , ad esempio, ci fu l'affaire Stefani – sottosegretario leghista al Turismo che scrisse sulla Padania: “se in passato è bastato un automobilistico “test dell'alce” per capire la fallibilità della Germania, paese ubriaco di tronfie certezze, chissà quante coscienze potrebbe far crollare un doveroso ed indispensabile test d'intelligenza”, generando le furie del governo teutonico –, che portò si ad un raffreddamento dei rapporti tra i due governi, ma che non scalfì in modo rilevante gli accordi commerciali e l'intesa sull'Europa tra Roma e Berlino.

I siparietti ed i sorrisi delle scorse ore non devono trarre in inganno, dunque, rispetto al vero cuore delle attività italo-tedesche che corrono tutt'oggi e nonostante i cambi di governo e l'instabilità sociale del Belpaese, sui binari della cooperazione economica e sulla fortificazione politica europea (per quanto quest'ultima discutibile dal punto di vista politico).

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