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Allarme Accademia italiana, 6 studenti su 10 sono cinesi

Le Accademie di Belle Arti italiane parlano sempre più una lingua diversa dalla nostra. I dati sono allarmanti ed alcuni Istituti locali hanno preso provvedimenti introducendo un test di lingua italiana che ha scaturito non pochi malcontenti tra gli studenti cinesi.
A cura di A. P.
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Negli ultimi anni l'immagine dell'invasione cinese in Italia è diventata di utilizzo comune, un utilizzo anche spropositato e forse smodato, per far capire le dimensioni di un fenomeno sempre più concreto in termini numerici. E se le realtà urbane di quartieri interamente occupati dalle popolazioni di origini asiatiche sono realtà consolidate, adesso un altro numero rende chiara quest'idea: nelle Accademie di belle Arti italiane, sei studenti su dieci sono cinesi. Il numero assoluto di studenti italiani era stato superato da quelli cinesi già nell'anno accademico 2012/2013, ovvero 1968 su 3757, ma lo scorso anno scolastico sono aumentati ancora: 2885 su un totale di 4581. Di fatto, il canale formativo che ha condotto l'Italia a diventare grande nel mondo è di predominio cinese. Le motivazioni possono essere di svariato tipo, ma principalmente l'eccellenza della storia dell'arte italiana e l'aiuto del progetto Turandot, che offre in maniera piuttosto semplice la possibilità di un visto d'ingresso a fini formativi, hanno di certo contribuito ad alimentare questo fenomeno. Che ha causato anche problemi dal punto di vista logistico e formativo, essendoci di fatto la difficoltà per cui non tutti gli studenti fossero in grado di comprendere la lingua italiana, figurarsi i tecnicismi delle spiegazioni di alcune lezioni. Una problematica che le Accademie hanno provato a ridimensionare introducendo un esame di italiano come prerequisito per l'ammissione.

Come si può infatti leggere su La Stampa, diverse contestazioni e ricorsi da parte di alcuni sono arrivati da parte dei molti esclusi, che hanno definito una "quasi truffa". E' infatti il Beijing Institute of Fashion Technology a denunciare i ritardi degli inizi dei corsi e l'inadeguatezza dei docenti. Con questa misura a Firenze sarebbe stato ridotto il numero di studenti cinesi di almeno il 50%. Il dato si è riproposto in proporzioni simili anche a Roma, dove 20 studenti su 100 hanno avuto accesso. L'accusa è stata rinviata al mittente da parte delle stesse accademie, che controbattono per voce del direttore dell'Istituto di Firenze Giuseppe Andreani: "La conoscenza della lingua italiana è prevista dal Progetto Turandot, ma viene evasa sistematicamente per l’intervento di agenzie cinesi fra le più disparate che lucrano sul business delle iscrizioni garantendo “certificazioni” che si rivelano del tutto inadeguate, quando non vere e proprie bufale". 

Le dimensioni del problema si amplificano se si tiene conto di una difficoltà finanziaria ingente che caratterizza le accademie di tutta Italia. Andreani espone il problema senza mezzi termini: "È necessario un mirato intervento del Miur o del governo per individuare nuovi meccanismi che prevedano un’obbligatoria, adeguata contribuzione per ogni studente cinese ai percorsi formativi accademici per l’assoluta impossibilità di caricare sui bilanci delle Accademie, sempre più dipendenti dalle sole contribuzioni degli studenti, gli oneri del mancato pagamento di tasse da parte degli iscritti cinesi ed extracomunitari in generale". Non ci sono dati precisi in merito, ma emerge che buona parte degli studenti cinesi non paghino le tasse universitarie dichiarandosi nullatenente.

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