Trump contro Harvard, stop all’ammissione di studenti stranieri nell’ateneo: cosa sta succedendo

Il colpo arriva secco, frontale e dall'alto: l'amministrazione Trump ha revocato all'università di Harvard la certificazione che consente l'ammissione e la permanenza degli studenti stranieri. Una decisione che rischia di costringere oltre 6.800 iscritti provenienti da tutto il mondo ad abbandonare il campus di Cambridge, pena la perdita dello status legale sul suolo statunitense. A renderla pubblica è stato il Dipartimento per la Sicurezza Interna, guidato da Kristi Noem, con motivazioni che marcano il punto più alto (finora) dello scontro politico e culturale tra il presidente e le élite accademiche americane. Secondo l'amministrazione, Harvard avrebbe "favorito un ambiente universitario non sicuro, consentendo ad agitatori antiamericani e filo-terroristi di molestare e aggredire fisicamente individui, tra cui molti studenti ebrei". In un comunicato ufficiale, il dipartimento ha accusato l’ateneo di aver ostacolato "quello che un tempo era un venerabile ambiente di apprendimento" e di aver collaborato con il Partito Comunista Cinese. Harvard, da parte sua, respinge le accuse, definisce la decisione "illegale" e annuncia che fornirà supporto legale e logistico agli studenti internazionali colpiti dal provvedimento.
Cosa succede tra Trump e Harvard: il bersaglio simbolico dell'America liberal
La scelta di colpire Harvard non cade dal cielo; da mesi l'università, considerata uno dei principali bastioni del pensiero progressista statunitense, è nel mirino della Casa Bianca. A inizio maggio, l'amministrazione aveva già tagliato ogni sovvenzione federale destinata all'ateneo, dopo un primo blocco da 2,6 miliardi di dollari ad aprile. Il motivo dichiarato: la mancata collaborazione dell'università nel fornire nomi e dati degli studenti stranieri coinvolti in proteste ritenute violente o pericolose: "È un privilegio, non un diritto, per le università iscrivere studenti stranieri e beneficiare delle loro tasse universitarie più elevate", ha dichiarato Noem. "Questa amministrazione sta ritenendo Harvard responsabile per aver fomentato violenza, antisemitismo e per essersi coordinata con il Partito Comunista Cinese nel suo campus. Che questo serva da ammonimento a tutte le università d'America". Per Harvard, però, la revoca del programma per studenti e visitatori stranieri, noto come Student and Exchange Visitor Program, non è ovviamente solo un danno d'immagine. Si tratta di un colpo diretto al cuore del proprio modello educativo, fondato da secoli sull'attrazione dei migliori talenti da tutto il mondo: gli studenti internazionali rappresentano oggi circa il 27% della popolazione accademica, con una presenza in costante crescita (nel 2010 erano il 19,7%). Si tratta di giovani che pagano rette che possono superare gli 83mila dollari annui, spesso senza sovvenzioni. E per quanto riguarda il nostro Paese, solo tre studenti italiani, dei circa 500 candidati di quest'anno, sono stati ammessi: tutti con borsa di studio.
Ultimatum alla Harvard: 72 ore per denunciare gli studenti
Con la firma della ministra Kristi Noem, l'ultimatum arriva diretto: Harvard ha tre giorni di tempo per consegnare al governo tutti i materiali, come video, audio, documenti, relativi agli studenti internazionali sospettati di aver preso parte ad attività considerate "illegali o violente". In caso contrario, l'università sarà esclusa in modo permanente dai programmi di accoglienza per studenti stranieri: "Non possiamo tollerare che le istituzioni educative diventino terreno fertile per odio e sovversione", ha scritto Noem su X, "La sicurezza nazionale viene prima della reputazione accademica".
La misura arriva in un momento di forte tensione tra governo e università, dopo mesi di proteste nei campus contro l'offensiva israeliana su Gaza. L'accusa dell'amministrazione Trump è che le direzioni accademiche non abbiano fatto abbastanza per contrastare manifestazioni considerate antisemite o organizzazioni radicali. In questo quadro, dunque, Harvard diventa un bersaglio esemplare: ha rifiutato di modificare i criteri di ammissione su richiesta della Casa Bianca, ha definito i tagli ai fondi un attacco alla libertà accademica, ha annunciato ricorsi e battaglie legali.
La replica: "Un danno grave per la comunità accademica"
"Questa ritorsione minaccia la nostra missione e colpisce l'intera comunità accademica", ha scritto l'università in una nota ufficiale, annunciando che sta fornendo supporto legale agli studenti coinvolti e valutando nuove azioni giudiziarie. Secondo il New York Times, Harvard sarebbe già pronta a un nuovo ricorso federale. Anche la Foundation for Individual Rights and Expression (FIRE) ha criticato duramente il provvedimento, definendolo "una spedizione di pesca a tappeto che colpisce la libertà d'espressione e va respinta senza ambiguità". I College Democrats dell'università parlano apertamente di "attacco autoritario" agli studenti internazionali: "Trump li sta usando come pedine politiche", scrivono in un comunicato.
Non è solo Harvard: il segnale a tutto il sistema
Il messaggio è chiaro: nessuna università è al riparo se non si allinea. Il provvedimento contro Harvard, che, secondo fonti interne, potrà essere ritirato solo in caso di "collaborazione piena e verificabile", è infatti un avvertimento anche per le altre. Alcuni atenei, come la Columbia University, hanno già fatto marcia indietro. Harvard no. E per questo ora è al centro dello scontro. Non è, dunque, un caso isolato. L'amministrazione Trump ha fatto della riforma del sistema universitario uno dei propri obiettivi strategici: ridurre il potere delle élite accademiche, ripristinare "ordine" e "valori tradizionali", limitare l'influenza delle università ritenute troppo progressiste. Ma colpire selettivamente l'ateneo che ha formato 24 capi di Stato e decine di premi Nobel significa aprire una frattura profonda, non solo politica ma culturale. "Se Harvard non può più attrarre le menti migliori del mondo, non sarà più Harvard", dice Leo Gerden, studente svedese all'ultimo anno, "e nemmeno l'America sarà più la stessa".
Make America great again, recita lo slogan. Ma senza Harvard, sarà un'America più chiusa. E, forse, anche meno grande.