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Peter Cameron: “Viviamo un momento ostile per l’arte e le libertà civili”

Lo scrittore Peter Cameron, autore di “Un giorno questo dolore ti sarà utile”, ha pubblicato la raccolta di racconti “Che cosa fa la gente tutto il giorno?”. Ne ha parlato a Fanpage.it.
A cura di Francesco Raiola
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Peter Cameron (ph Laura Ferloni per Fanpage)
Peter Cameron (ph Laura Ferloni per Fanpage)

Peter Cameron è l'autore di "Un giorno questo dolore ti sarà utile" e "Quella sera dorata" tra gli altri, due libri che gli hanno aperto i cuori dei lettori italiani, facendo del nostro paese un bacino di lettori più fedele anche di quello americano, sua patria natìa. In Italia, Cameron, ha trovato terreno fertile, forse perché è riuscito a intercettare quelle che sono alcune sensibilità molto vicine a noi, come spiega lui stesso, dando merito anche alla traduzione di Giuseppina Oneto. Nelle scorse settimane Adelphi ha pubblicato, in anteprima mondiale, la raccolta di racconti "Che cosa fa la gente tutto il giorno?" che raccoglie scritti che risalgono anche a 30 anni fa. A Fanpage.it, lo scrittore ha spiegato il suo rapporto con questi racconti, con la scrittura, l'auto-fiction e del rapporto tra intellettuale e Potere.

Come è andato questo tour italiano?

Le cose sono andate molto bene, mi sono divertito moltissimo. Sono stato molto felice di tornare in Italia perché mancavo da più di tre anni. È così eccitante per me essere qui con le persone che leggono i miei libri.

Com'è rivedersi nelle vecchie storie – alcune vecchie di 30 anni – di Che cosa fa la gente tutto il giorno?

Alcune di queste storie risalgono a molto tempo fa, qualcuna l'ho scritta quando avevo 20 anni ed ero ancora al college, quindi è una cosa che riguarda gran parte della mia carriera. E, sai, le storie che ho scelto per questo libro sono tutte storie a cui mi sento ancora connesso. Quindi, benché fossi una persona completamente diversa quando li ho scritti, mi rivedo ancora in loro e mi identifico con i temi delle storie.

Quanto queste storie sono vicine alle originali? Ci ha rimesso mano?

Ogni volta che finisco qualcosa e pubblico qualcosa sento davvero che è finita e che devo andare avanti e guardare al futuro. Penso sempre che in teoria potrei tornare indietro e cambiare le cose e modificarle, ma preferisco rispettare molto le storie così come sono state scritte e pubblicate e far sì che parlino da sole.

Quindi nessun ritocco…

No, però a un certo punto c'è stato un caso in cui stavo leggendo le pagine della traduzione e ho pensato che mancasse una frase da una delle storie, "Il cane segreto". Ero arrabbiato perché la ritenevo molto importante, era l'ultima frase della storia. Quindi sono tornato a controllare la mia versione originale della storia e mi sono reso conto che quella frase non c'era. E poi ho capito che era una frase a cui avevo pensato, inclusa in una delle bozze della storia ma che quando è stata pubblicata per la prima volta avevo deciso di non includere. Eppure era strano che nella mia memoria quella frase fosse ancora lì. È stato divertente, col senno di poi, perché c'è sempre quella tensione tra il modo in cui ricordi una storia e il modo in cui la storia è finita per essere pubblicata. E a volte ci sono due cose molto diverse. Detto ciò non voglio cambiare la storia preferisco lasciarla come ho deciso che dovrebbe essere.

Col senno di poi ha trovato un fil rouge di queste storie?

Tutte le mie storie riguardano l'intimità delle persone, le loro vite private e le loro relazioni con altre persone e questa è una cosa che unisce tutte queste storie. Però è solo quando le metto insieme in un libro che comincio a notare che ci sono cose che accadono in più di una storia. Ad esempio, alcune persone mi dicevano: "Oh, in molte delle tue storie, qualcuno guarda qualcun altro dormire". Mi sono anche reso conto, per esempio, che in due dei miei racconti finiscono con qualcuno seduto su una sedia tutto solo. E quindi mi rendo conto che ci sono questi temi e questi motivi che ricorrono nel mio lavoro che li collegano.

Le piace rileggere le storie che ha scritto?

Mi piace quando è passato molto tempo, non mi piace leggere qualcosa che è stata pubblicato di recente perché ci sono ancora troppo vicino e sono ancora coinvolto nel suo mondo. Ma dopo qualche anno, quando me ne sono quasi dimenticato, è interessante tornare indietro e leggere il mio lavoro perché è quasi come riscoprirlo, ritrovarlo, perché mi rendo conto di averne dimenticato un bel pezzo e ovviamente lo leggo in un modo molto diverso da come lo leggevo mentre ci lavoravo.

E cosa ha trovato rileggendo queste storie?

Ripenso ad alcune di quelle storie ed è interessante perché parlando con i lettori, in Italia, in molti hanno menzionato "Il cane segreto" come la loro storia preferita e mi sono reso conto che quella era anche la prima storia, nel libro, che ho scritto.

Quando l'ha scritta?

Avevo 20 anni ed è interessante che piaccia a così tante persone. Sono sempre incuriosito da come ho scritto quella storia quando ero così giovane, e questo mi fa capire che gran parte della mia scrittura proveniva dal mio subconscio e non sapevo davvero cosa stavo facendo. Mi sembra quasi di non potermi prendere il merito delle storie che ho scritto allora o delle storie che sto scrivendo adesso, perché mi rendo conto che provengono da luoghi molto misteriosi.

Oggi le piace ancora scrivere racconti?

I racconti sono sempre stati importanti nella mia carriera, è sempre stato interessante vederne il cammino perché a un certo punto i racconti sembrano diventare popolari e poi smettono di esserlo e nessuno li legge, poi improvvisamente, dieci anni dopo, c'è un vero interesse per i racconti. Credo, però, che abbia senso, oggi, che i racconti siano popolari perché ormai è così difficile trovare il tempo per leggere un romanzo. Le persone sono così impegnate con le loro vite e un romanzo è un impegno molto serio, devi dedicare ore e ore e giorni alla lettura di un romanzo, mentre un racconto puoi ancora leggerlo durante un viaggio in treno o solo facendo il pendolare o una sera. Quindi capisco quanto possano essere attraenti per i lettori.

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Come è nata la sua passione per la scrittura?

Penso che sia nata attraverso la lettura: ho iniziato leggendo libri e amandoli, scoprendo in essi mondi e vite molto diversi dai miei. Così ho pensato che avrei provare a trovare nella scrittura la stessa soddisfazione che ho trovato nella lettura. E l'ho trovata! Ho scoperto che scrivendo potevo fare la stessa cosa, potevo uscire da me stesso e diventare altre persone ed esplorare altre vite in un modo che potevo controllare. Quando leggi, infatti, qualcun altro ha già preso tutte le decisioni al tuo posto, ma quando scrivi hai il pieno controllo del viaggio che stai intraprendendo.

Sì, tra l'altro avevo letto che lei ama inventare storie più che pescare nella sua vita.

Sì, non mi sono mai sentito a mio agio a scrivere della mia vita. Alcune persone guardano la propria vita e vedono tutte queste opportunità di scrivere storie, mentre quando guardo la mia vita sembra molto noiosa e non c'è nulla che vorrei infliggere ad altre persone. Quindi per me, si trattava sempre di trovare altri personaggi in altre vite che ritengo più interessanti rispetto alla mia.

Quando ha cominciato a definirsi scrittore?

Penso di essere stato molto fortunato perché l'anno dopo essermi laureato al college, avevo circa 22 anni, ho pubblicato il mio primo racconto sul New Yorker ed è stato interessante perché è stata la prima cosa che mi è capitata come scrittore e sapevo anche che sarebbe stata la cosa più eccitante che mi sarebbe mai capitata. Insomma, la mia carriera è iniziata al top, ovviamente non mi aspettavo che accadesse così presto, perciò è stato davvero fantastico e a quel punto ho pensato: "Ok, sono uno scrittore" anche se con la scrittura devi sempre aspettare il libro successivo perché pubblicare una cosa non significa essere per sempre uno scrittore. Credo che essere uno scrittore significa che stai effettivamente scrivendo, non che hai scritto.

Qual è la principale difficoltà che incontra nello scrivere?

Molti scrittori devono lottare contro una sorta di autocensura. Penso che sia difficile perché quando scrivi narrativa esponi te stesso, ma poiché ho sempre scritto fiction e ho sempre scritto di altre persone e altre vite, ho sempre trovato molto più facile esprimermi, quindi so che teoricamente mi sto esponendo, che le mie storie sono emotivamente molto autobiografiche e che scrivo delle mie emozioni, dei miei sentimenti e dei miei pensieri ma poiché riguardano altre persone, mi sento al sicuro, un po' protetto.

C'è un argomento che vorrebbe trattare nei suoi libri ma per il quale non si sente ancora pronto?

Di recente le persone mi hanno chiesto molto del COVID e della pandemia: "Hai intenzione di scrivere qualcosa a riguardo?" mi dicevano. Per quanto mi riguarda ho bisogno di pensare a lungo alle mie esperienze prima di poterne scrivere. Devo davvero conviverci e lasciare che il mio subconscio li assorba prima di poterle mettere su carta. Per questo l'idea di scrivere della pandemia, adesso, mi pare prematura, mi sento come se non avessi capito davvero cosa fosse successo. È stato tutto un periodo così oscuro, confuso e difficile che non so se ne scriverò mai, ma so che devo solo aspettare e vedere se a un certo punto ciò che arriva dal mio subconscio, nella mia mente cosciente, si trasformerà in fiction.

Sappiamo tutti che l'Italia è un paese che la ama. Cosa hai imparato di noi in questi anni?

È stata una cosa incredibile per me trovare questo pubblico in Italia, un pubblico che non ho trovato negli Stati Uniti. Penso molto al perché i lettori italiani rispondono al mio lavoro in modo molto più entusiasta rispetto ai lettori che lo leggono nella mia lingua e nel mio paese e penso che ci debba essere qualcosa in quello che scrivo e nel modo in cui lo scrivo che è vicina alla sensibilità italiana. Forse le cose che mi emozionano e le cose a cui penso sono più comuni agli italiani che agli americani, in più penso anche di avere una bravissima traduttrice che ha tradotto i miei libri, Giuseppina Oneto, sento che la qualità delle traduzioni gioca un ruolo molto importante nella mia popolarità in Italia. Ha fatto funzionare il mio lavoro, le mie storie, i miei romanzi in italiano, prendere qualcosa da una lingua e ricrearlo con successo in un'altra lingua è una cosa molto difficile.

E anche il marchio Adelphi avrà aiutato…

Mi sento così fortunato ad essere pubblicato da Adelphi! Per molto tempo non avevo un editore in Italia, e il mio agente negli Stati Uniti amava Adelphi e desiderava moltissimo che fossi pubblicato da loro, così per ogni libro che usciva negli Stati Uniti, diceva "Beh, forse Adelphi prenderà questo" e poi finalmente, quando lo hanno fatto e hanno pubblicato Quella sera dorata, eravamo entrambi entusiasti, perché era qualcosa che avevamo sognato e alla fine è successa. Sono molto fortunato ad avere un editore così bravo.

Non so se hai visto la protesta a Torino, cosa ne pensi della libertà degli intellettuali, dell'intromissione del potere? Ne è mai stato vittima?

Sento che stiamo vivendo in un momento molto ostile nei confronti sia delle arti che delle libertà civili. Ed è angosciante e spaventoso: già è abbastanza difficile essere un artista in una cultura che apprezza l'arte perché ci sono così poche opportunità di condividerla pensa quando quella cultura è ostile a quello che stai facendo o addirittura vuole reprimerlo o censurarlo: è molto triste perché penso che quello che possiamo fare con la cultura è consentire alle persone di esprimersi e condividere i propri pensieri e sentimenti tra loro e credo che questo sia l'unico modo in cui la società può progredire.

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