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Perché il taglio del cuneo fiscale del governo Meloni verrà bruciato dall’inflazione

Un’indagine di Confesercenti rivela che il taglio del cuneo fiscale del governo Meloni, presentato dall’esecutivo come soluzione temporanea al caro vita, rischia di essere depotenziato dall’inflazione.
A cura di Tommaso Coluzzi
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Il taglio del cuneo fiscale del governo Meloni rischia di avere un effetto molto più lieve rispetto a quanto previsto. L'esecutivo ha presentato l'intervento – che aggiunge quattro punti di riduzione sul cuneo contributivo, oltre a quelli già previsti dalla legge di Bilancio – come l'aiuto di cui le fasce di reddito medio/basso avevano bisogno. Secondo un'indagine di Confesercenti, però, l'impatto dell'investimento fatto dal governo da qui a fine anno rischia di essere sensibilmente depotenziato – se non del tutto azzerato – dall'inflazione che continua a crescere e pesare sulle tasche dei cittadini.

Il calcolo è semplice, se aumenta il netto in busta paga tagliando i contributi, ma allo stesso tempo aumentano i beni che si acquistano con lo stipendio, alla fine non cambia nulla. E non solo: lo Stato investe miliardi di euro per pagare la parte di contributi a carico dei lavoratori – da qui il taglio del cuneo contributivo – e dovrà continuare a farlo se non vorrà far crollare le buste paga a fine anno.

"La corsa dei prezzi non si ferma – avvisa Confesercenti – Il tasso di inflazione resterà sopra il 2% almeno fino al 2025, e rischia di bruciare in tre anni 10 miliardi di euro di potere d'acquisto delle famiglie, frenando la ripresa dei consumi e depotenziando gli effetti positivi del previsto alleggerimento fiscale". Poi spiegano: "Un assaggio lo si sta avendo con il taglio del cuneo fiscale predisposto dal governo, che in parte sarà eroso proprio dal fisco. Bisogna dunque rivedere la struttura delle aliquote per annullare gli effetti negativi del fiscal drag, o si rischia di depotenziare l'impulso che la riforma fiscale in preparazione potrebbe produrre sulla capacità di spesa delle famiglie".

La stima di Confesercenti sull'inflazione è più che preoccupante: "Ci aspettiamo un tasso di aumento dell'indice dei prezzi del più 5,7% nell'anno corrente, del più 3,8% nel 2024 e del più 2,8% nel 2025. Solo nel 2026 si dovrebbe assestare sul più 2%, la soglia comunemente considerata come obiettivo per la stabilità dei prezzi". Per capirci: tra il 2016 e il 2019, prima della pandemia di Covid, il tasso medio di inflazione è stato intorno al più 0,5%. Perciò il governo deve intervenire anche sull'effetto distorsivo, anche qui è molto semplice: se aumentano i prezzi dei beni aumenta anche il gettito per lo Stato. E questo sistema, secondo Confesercenti, va rivisto immediatamente.

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