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Evan Gershkovich il giornalista arrestato per spionaggio “è un ostaggio del Cremlino”, dicono gli analisti

Evan Gershkovich “è solo un giornalista”. Il suo arresto “vuol spaventare cronisti stranieri e dissidenti locali”, ma è soprattutto “un’iniziativa pratica per arrivare a uno scambio di prigionieri”. Mentre le relazioni tra Mosca e l’Occidente precipitano come mai prima d’ora.
A cura di Riccardo Amati
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Evan Gershkovich
Evan Gershkovich

Un segnale ai giornalisti stranieri ancora a Mosca e una dimostrazione che i servizi di sicurezza russi possono agire oltre le red line “senza vergogna”, in un clima che “risveglia gli istinti totalitari” della società che fu sovietica. Ma anche un’operazione pratica, volta a scambiare quello che è “un vero e proprio ostaggio” con spie o criminali russi detenuti all’estero.

È quel che pensano dell’arresto per spionaggio di Evan Gershkovich, corrispondente del Wall Street Journal, i suoi conoscenti e gli esperti della politica del Cremlino sentiti a caldo da Fanpage.it. “Certo che Evan non è una spia”, dice l’economista Alexandra Prokopenko, una delle ultime persone intervistate da Gershkovich, per un articolo in cui si legge che l’economia russa sta per crollare. “Lo conosco molto bene. Abbiamo spesso parlato dell’andamento dell’economia e dell’impatto della guerra e delle sanzioni”.

Ma l’Fsb, erede del Kgb sovietico, e il ministero degli Esteri russo dicono che Evan non stava facendo il suo lavoro e raccoglieva informazioni per gli Usa. “È una narrativa falsa”, risponde Prokopenko. “Hanno solo voluto prendere un ostaggio da scambiare con qualcuno”, conclude. “Evan è un giovane cronista appassionato del suo lavoro e innamorato della Russia, dove vive da sei anni”, racconta un giornalista moscovita che chiede — per ragioni di sicurezza — di non essere meglio identificato. E riattacca rapidamente il telefono.

“Questo arresto è un segnale ai reporter internazionali che ancora sono qui con gli accrediti di tre mesi rilasciati dal ministero degli Esteri, nonché ai dissidenti russi”, sottolinea da Mosca l’esperto della politica del Cremlino Andrei Kolesnikov, Senior Fellow del think tank Carnegie. “Questo arresto alimenta un’atmosfera generale di paura e di sospetto”. Kolesnikov nota che i servizi di sicurezza e la polizia ormai non si vergognano più di nulla, in Russia”.

E ritene che l’atmosfera “di paura e di sospetto” stia già da tempo inquinando la società. “Nessuno si fida più di nessuno e fioccano le denunce contro i presunti ‘traditori’”. Si risvegliano, insomma, gli “istinti totalitari” della vecchia Unione Sovietica. Ma c’è anche un aspetto più triviale, nell’iniziativa delle autorità contro il giornalista americano: “Il Cremlino vuol crearsi una sorta di ‘fondo ostaggi’ per poter trattare con l’Occidente la liberazione di criminali russi detenuti all’estero”, sostiene Kolesnikov.

“Evan Gershkhovich è un vero e proprio ostaggio”, concorda la fondatrice e direttrice dell’istituto di analisi politica R.Politik Tatiana Stanovaya. “L’arresto è stato un atto pragmatico. Hanno visto l’estate scorsa che lo scambio con Brittney Griner (la campionessa statunitense di basket che era stata arresta in Russia per la detenzione di meno di un grammo di olio di hashish medicinale, ndr) ha assicurato la liberazione e il ritorno in patria del mercante di armi Viktor But. Hanno visto che funziona, e questo ha acceso il desiderio di ripetere l’operazione”.

Secondo Stanovaya, Putin vuol crearsi così “un leverage, una leva nei confronti dell’Occidente collettivo”. Il presidente pensa, insieme ai suoi collaboratori, che Washington possa far liberare i russi in galera anche per reati comuni e anche in Paesi diversi dagli Usa. “Al Cremlino ritengono che Biden sia il capo assoluto dell’Occidente e che possa fare quel che vuole in qualsiasi paese occidentale. E non importa se non è vero. Il fatto è che lo credono. È un sistema fondato sulla fede, quello del nostro regime “.

Ma Putin chi vorrebbe liberare e far tornare in patria, in cambio di Gershkovich? ”Vladislav Klyushin, per esempio”, risponde l’analista. Klyushin, imprenditore della cybersecurity vicino al Cremlino, è in prigione negli Usa, condannato pochi giorni fa per cospirazione, frode informatica e insider trading. Un altro obbiettivo di scambio “potrebbe essere Vadim Krasikov”. L’uomo, ex colonnello dell’Fsb, di origine kazaka, è stato condannato per l’esecuzione del ceceno Zelimkhan “Tornike” Khangoshvili nek 2019 in un parco nel centro di Berlino, e si trova in carcere in Germania.

“Ma Putin e i suoi ritengono non faccia differenza: basta che nella capitale tedesca arrivi l’ordine di Biden, si illudono”. Anche a Stanovaya facciamo presente l’accusa delle autorità russe contro Evan Gershkhovich. “Il problema è che la più recente legislazione e l’interpretazione dell’Fsb prevedono l’arresto di chiunque si interessi ad argomenti militari”, spiega l’intervistata. Quindi, in Russia teoricamente non si può più scrivere nulla sulla guerra in Ucraina, sulle compagnie militari private come la Wagner, sulla tattiche e le strategie militari e quant’altro. “L’atto di ‘raccogliere informazioni’, che è stato imputato al giornalista americano, anche se significa semplicemente registrare i pareri di esperti o far ricerche su internet, è sufficiente per andare in galera”. Somiglia molto a proibire il giornalismo.

“Una cosa interessante è che l’Fsb accusa genericamente l’americano Gershkovich di ‘lavorare per gli americani’. L’accusa si apre a mille diverse interpretazioni. Anche il comitato editoriale del Wall Street Journal, ovviamente, è americano”. Ciò fa pensare Stanovaya che l’Fsb “non abbia alcuna prova che Evan stesse specificamente comportandosi come un agente sotto copertura”. Ma che l’arresto voglia portare a “un livello di confronto ancora più alto” tra Mosca e Washington.

“É un riflesso del deterioramento grave delle relazioni con tutto l’Occidente”, chiosa Kolesnikov, ancor più pessimista di Stanovaya. Andrei Kolesnikov è una dei pochissimi, forse l’unico pubblicista attivo nella critica a Putin e alla guerra che non si è rifugiato all’estero. Con l’arresto di Evan Gershikhovich il clima è ulteriormente peggiorato. Perché non prende un areo e lascia la Russia, gli chiediamo. Consigliandogli di farlo. “Questa è casa mia”, risponde.”È il posto dove lavoro. Non sono più giovane. La mia famiglia ha le sue radici qui”. Insistiamo. “In caso di assoluta e definitiva emergenza, potrei anche decidere di partire”, concede Kolesnikov.

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