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Esclusa dalla maturità, Nina Sorrentino a Fanpage: “Il mio futuro? Spero di continuare a sognare”

“Vogliamo trovare delle soluzioni” dicono Alessandro e Francesca, papà e mamma della giovane. “Un’eventuale bocciatura non sarebbe stata una sconfitta ma una prova di ripetere, come tante ce ne saranno da adesso in poi”. La scuola replica: “Abbiamo solo rispettato la legge”
A cura di Beppe Facchini
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Una possibilità, compresa quella di fallire. Niente di più. È quello che chiedono per la loro figlia Alessandro e Francesca, i genitori di Nina, 19enne con sindrome di Down che si è vista negare l'accesso agli esami di maturità dal consiglio di classe del suo istituto, il liceo Sabin di Bologna. “Più si sale di grado scolastico e più difficoltà incontrano questi ragazzi” dice il papà. “All'università ce ne sono anche alcuni che si laureano, non capisco perché debba precludersi queste possibilità” gli fa eco la mamma. La motivazione per Nina non manca. “Per il mio futuro – spiega la ragazza- spero di continuare ad andare avanti nei miei sogni”.

Quando a Nina si chiede quali siano le sue materie preferite, non ha bisogno di pensarci per rispondere: "Scienze naturali, filosofia e letteratura italiana". Il suo sogno, però, è poter insegnare un giorno danza ai bambini.

La vicenda di Nina Sorrentino ha fatto molto rumore negli ultimi giorni, tanto che persino la ministra alla disabilità, Alessandra Locatelli, è intervenuta a riguardo. Al momento, però, non ci sono novità, chiariscono i genitori. “Vogliamo trovare delle soluzioni: finora, da tre anni a questa parte, ci siamo dovuti muovere noi, sottolinea il padre della ragazza. Adesso ci piacerebbe che qualcuno ci aiutasse. E penso che ci siano le persone e le istituzioni adatte a farlo”. La preside della scuola, Rossella Fabbri, non ha voluto rilasciare interviste, chiarendo però comunque di “aver semplicemente rispettato la legge”. Ma meglio procedere con ordine.

Nina è una ragazza piena di vita, con tante passioni che spaziano dallo sport all'arte. E quasi viene da pensare che non potesse essere altrimenti, visto che i suoi genitori sono entrambi musicisti. Fino a qualche settimana fa frequentava l'ultimo anno dell'indirizzo di scienze umane nella scuola intitolata al virologo famoso per aver sviluppato il vaccino per la polmonite, nei pressi della stazione bolognese. A metà marzo, però, i genitori, in accordo con la figlia, hanno deciso di ritirarla da scuola per consentirle di riprovare a sostenere la maturità il prossimo anno, anche in un altro istituto, senza dover ripetere necessariamente l'intero quinquennio.

Tutto ruota attorno al suo Pei, piano educativo individualizzato: dall'inizio del triennio i genitori hanno chiesto alla scuola di cambiarlo, da programma differenziato per gli alunni certificati (che alla fine del ciclo scolastico fa ottenere solo un attestato di competenze) a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l'ammissione al vero e proprio esame di maturità. Il consiglio di classe però si è espresso più volte in modo sfavorevole, ritenendo che “il carico di lavoro, la mole dei contenuti e l'impegno chiesto” non sarebbero “adeguati alle capacità e alle competenze di Nina”.

La preoccupazione del corpo docente, insomma, “riguarda il senso di frustrazione che potrebbe generarsi nella ragazza” in caso di mancato superamento dell'esame. “Per noi, un'eventuale bocciatura non sarebbe stata vissuta come una sconfitta – chiarisce però subito il papà Alessandro, di origine tarantina- ma come una prova da ripetere, come tante ce ne saranno da adesso in poi”.

“Chiedevamo semplicemente che le venisse data la possibilità anche del fallimento", aggiunge mamma Francesca Valente, arrivata anni fa a Bologna dall'Abruzzo. "È una cosa alla quale anche ragazzi con difficoltà devono prima o poi abituarsi, ma se c'è una forte motivazione è ovvio che bisogna sostenerla in tutti i modi possibili”.

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Il punto, per i genitori di Nina, è quindi proprio questo: la loro figlia prima o poi dovrà scontrarsi con le difficoltà della vita, in autonomia e senza quell'assistenzialismo e quella solidarietà “un po' pietistica che si dimentica di quei diritti che tutti abbiamo come esseri umani. Tutte queste persone sono in grado, se supportate, di avere un ruolo fondamentale nella società” dice ancora il papà, riavvolgendo il nastro a quando “ci è stato proposto questo Pei per obiettivi differenziati.

Noi abbiamo accettato perché appena arrivati in questa scuola, dunque non volevamo metterci in contrasto, e poi perché pensavamo che venisse valutata nel tempo in modo da poter cambiare. Inoltre, prosegue, eravamo fiduciosi del fatto che ci è stato presentato come un documento che in qualsiasi momento poteva essere modificato”.

Così non si è riusciti a fare, tanto che dal terzo anno in poi non hanno più sottoscritto il Pei, così come ha fatto la neuropsichiatra di Nina, anche lei concorde coi genitori nell'idea che per la 19enne si potesse pensare a qualcosa di diverso.

La richiesta è stata avanzata più volte da Alessandro e Francesca, ma niente da fare. I due si sono anche fatti venire il dubbio che forse, cuore di mamma e papà, per la figlia si stava spingendo troppo sull'acceleratore, così hanno chiesto un parere terzo. Dal Ceps di Bologna, Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21, all’associazione nazionale CoorDown, fino ad alcuni docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater. Senza dimenticare la neuropsichiatra.

Tutti, però, sono arrivati alla stessa conclusione. Non solo. Insieme a loro hanno cercato di realizzare un progetto pilota per Nina e la sua classe (e chissà in futuro anche per altri ragazzi e ragazze come lei), ma poi a inizio marzo è arrivato il no definitivo. “Era una bozza, non l'hanno accettata perché mancavano i curricula dei professionisti coinvolti", spiega il papà, trattenendo una risata nervosa e ancora incredula. "È vero che mancavano, ma bastava chiederne l'invio, semplicemente”.

Accantonata nel tempo l'idea anche di far cambiare scuola a Nina nel bel mezzo del suo percorso, per evitare di perdere “la socialità coi suoi compagni” e poi perché “forse abbiamo avuto la speranza di risolvere tranquillamente la situazione, mettendo in campo la volontà di tutti e con un percorso condiviso all'interno del Sabin stesso”, i suoi genitori ora non possono fare altro che attendere settembre e cercare di riprovarci. E con loro anche Nina.

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